I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

lunedì 31 dicembre 2012

Vita di Pi ( 2012 )

Pi Patel è un uomo di mezza età che sta raccontando la storia della sua avventura meravigliosa a uno scrittore in piena crisi da blocco creativo. Racconta di quando naufragò nel viaggio che portava lui e la sua famiglia in Canada dall'India e di come sopravvisse per molto tempo sulla scialuppa di salvataggio assieme al più improbabile dei compagni di viaggio: una tigre del Bengala che si chiama Richard Parker per un curioso scherzo del destino. E il destino di scherzi ne riserverà tanti al giovane Pi e al suo fedele ascoltatore.
(CONTIENE QUALCHE PICCOLO SPOILER)
Più vedevo questo film e più pensavo che ormai Ang Lee di orientale ha poco o nulla. Soprattutto in una storia come questa che poteva partire come un film bollywoodiano e poi trasformarsi in una sorta di Cast Away girato su una scialuppa di salvataggio.
Vita di Pi è Hollywood a 24 carati nell'impianto visivo ( un 3 D misterioso perchè il film lo prioiettano in 2 D visto che tutte le sale attrezzate sono destinate ai nani di Peter Jackson), con una spruzzata più che generosa di new age  e una storia di sofferenza e riscatto che piace tanto sulla West Coast.
Ang Lee si dimostra molto "fubbo" nel miscelare al meglio questi ingredienti e dare in pasto al pubblico un prodotto accattivante e rassicurante al tempo stesso.
Dopo una prima parte in cui sfilano talmente tanti animali in primo piano ( si parte da uno zoo e si passa in rassegna molta della fauna) in cui si può iniziare tranquillamente giocare ad accostare un conoscente a ogni essere vivente inquadrato ( sia mammifero che piumato ) il film procede in modo tutto sommato convenzionale con un racconto in flashback della vita di Pi dalla sua infanzia. Una parte introduttiva con conoscenza anticipata della tigre che serve solo come antipasto alla tempesta perfetta che porterà Pi sulla scialuppa assieme al felino di cui sopra, una zebra , una iena e un orango.
E qui c'è un'altra furberia : se uno pensasse di trovarsi di fronte a una lotta tra il buono Pi e la cattivissima tigre sbaglia . Perchè c'è la iena di mezzo che fa fuori la zebra e l'orango e poi viene a sua volta uccisa dalla tigre che così agli occhi dello spettatore non assume più connotazione totalmente negativa.
Da qui in poi la convivenza tra Pi e questa tigre in CGI che è forse la parte migliore del film. Lotta per la sopravvivenza ma anche quel minimo di complicità da parte di Pi che si trova a catturare animali per nutrire la tigre ed evitarne la morte, lui fervente seguace di molte religioni e del credo vegetariano a tavola.
Il viaggio è la nascita di un rapporto monolaterale perchè se per Pi la tigre diventa una sorta di amico  un po' speciale per la tigre rappresenta poco più che uno spuntino.
Insomma la storia della rana e dello scorpione raccontata da Orson Welles. Richard Parker non potrà mai essere amico di Pi. Due nature troppo diverse.
Infine il dubbio che il film instilla nello spettatore proprio nel finale: storia vera o inventata da una fantasia lanciata al galoppo da oltre 200 giorni di naufragio?
Difficile valutare un film come questo: ha tutto il necessario per essere urticante eppure ha qualcosa che non permette di condannarlo in toto perchè in fondo questa storia di un'amicizia un po' particolare in qualche maniera fa breccia nel cuore dello spettatore.
Tante altre cose no : a partire dalla new age usata come specchietto per le allodole, passando per la tigre in CGI la cui fluidità di movimento a volte è eccezionale, altre volte mostra tutta la sua "virtualità", per arrivare a un cameo oltre le soglie del ridicolo dello "chef" Depardieu.
Ho visto che Vita di Pi è stato definito il nuovo Avatar dai pubblicitari: questa è la testimonianza provata che questi costosissimi creativi, quando studiano gli slogan per lanciare un prodotto , bevono ad alti livelli.
Per accostare questo film ad Avatar ci vogliono pinte di grappa.
Anche perchè il sottotesto di Pi, inatteso, arriva da buon ultimo ed è più profondo del previsto: si riflette sulla potenza anche allegorica che può avere un racconto e sulle tante sfumature che da vita reale lo trasformano in mito da tramandare negli anni.
Il problema fondamentale del film di Ang Lee è che tolta l'impalcatura visiva ( in certi momenti anche un po' pacchiana) del film  rimane ben poco se non fosse per una parte finale che sorprende più per quello che dice che per quello che fa vedere.
Consoliamoci: Vita di Pi aveva tutte le credenziali per essere un tonfo clamoroso e invece Ang Lee dimostra ancora una volta la sua bravura cerchiobottista con un film che contiene momenti di assoluta epicità ( la lotta per la sopravvivenza contro gli elementi naturali ) e altri di un kitsch talmente ingenuo da far sorridere ( il momento delle visioni mistiche o i pesci volanti).
Un film hollywoodiano che cerca di travestirsi da qualcosa d'altro e che sferra il suo colpo di coda quando meno te lo aspetti.
C'è di che accontentarsi.

( VOTO 6 + / 10 ) Life of Pi (2012) on IMDb

domenica 30 dicembre 2012

I peggiori dell'anno

Visto che ieri ci è piaciuto tanto fare un post con il classificone del meglio, l'autocelebrazione un po' gaglioffa del 500esimo post e includere come optional anche gli auguri per l'anno prossimo, è venuto naturale evacuar...ehm...stilare la graduatoria del peggio visto quest'anno, naturalmente tutto come al solito opinabilissimo ma forse anche no perchè ci sono certi film che sono schifezze a qualsiasi logitudine e latitudine.
10) CHE COSA ASPETTARSI QUANDO SI ASPETTA: quando la commedia americana arriva a raschiare oltre il fondo del barile con un film a episodi che contiene tutti i peggiori luoghi comuni su gravidanza e annessi. Non si ride mai , anzi ci si intristisce che un cast piuttosto ben assortito sia delittuosamente  sprecato in tal modo.
9) COSMOPOLIS :ecco un nome che non avrei mai voluto vedere in questa lista .Amo follemente Cronenberg fin dall'inizio della sua carriera.  Però questo Cosmopolis mi si è fermato di traverso nell'esofago proprio accanto a Il pasto nudo. E pare che anche l'altro Cronenberg che ho mancato ultimamente non sia meglio di questo. Ho quasi paura a vederlo.
8 ) PROJECT X : il teen film formato mockumentary.Storia di una festa "mitica" che si trasforma in un gigantesco rave notturno e che mette a ferro e fuoco un intero quartiere. A parte la telecamera che balla perchè in mano all'ubriacone di turno tutto già ampiamente visto già dagli anni '70. Alcuni hanno additato questo film come modello sociologico negativo. Troppa roba per un filmetto senza pretese.
7) TO ROME WITH LOVE : a proposito di luoghi comuni eccone una carrettata fornita da Woody Allen con oggetto la terra del sole , del mare, della pizza e del mandolino.Allen nel nuovo millennio ha smarrito la sua verve ma da qui ad arrivare a una fiera mortuaria di glorie italiche e a battute degne di un film di Neri Parenti ce ne vuole. E lui con questo film ha fatto tutto questo percorso. Un film che poteva benissimo essere girato dai Vanzina. Non se ne sarebbe accorto nessuno.
6) ATROCIOUS : è il primo horror di questo classificone ma non l'ultimo. La Spagna ha regalato un modo nuovo per fare horror ma anche tante schifezze quando si mette a scimmiottare il modello americano.Qui siamo allo scimmiottamento del found footage. Non succede niente per quasi tutto il film e quando succede qualcosa la telecamera balla così tanto che non si capisce nulla. Inquietante che robaccia com e questa abbia anche avuto eco internazionale.
5) SHARK 3 D : questa rimasticatura di film di squali ha addirittura avuto l'onore del passaggio veneziano , chissà a quale prezzo. Horror australiano ad alto costo per gli standard della cinematografia di quella parte di mondo in cui oltre alle innumerevoli "licenze poetiche" l'unica cosa che stupisce è non avere la benchè minima idea di come possa essere stato usato tutto quel budget. Anche se lo squalo è moltiplicato per due il divertimento e gli spaventi non sono neanche la metà del minimo sindacale.
4) MUNGER ROAD :  incluso nella classifica dei non guardabili sia perchè siamo lontani dai livelli di eccellenza sia perchè è un film che inopinatamente finisce con un TO BE CONTINUED.  Una bella presa di culo insomma. E proprio per questo assolutamente da segnalare e da evitare.

3) PARANORMAL XPERIENCE 3 D : eccoci al secondo horror spagnolo in classifica affetto dallo stesso morbo dell'altro, cioè l'imitazione a tutti i costi del modello americano. Con risultati disastrosi. Qui c'è di tutto: mockumentary, ghost story ed addirittura un uso, piuttosto maldestro del 3 D. Da evitare come la peste anche per gli appassionati.
2) IN THE MARKET: qui siamo all'accademia della schifezza e dispiace che sia un film italiano.Cialtroneria pura con gente ( non sono attori) che non sa minimamente come ci si pone davanti a una telecamera, un Conad che si traveste da store americano ( ma almeno levate le scritte delle offerte speciali e le etichette sul manico dei carrelli), una strada collinare toscana spacciata per route americana, due-effetti-due che giustificano il nome di Stivaletti bene in evidenza nella locandina. Il peggio è nel blog che accompagna il film che contiene un lavoro di manipolazione delle recensioni degno della propaganda sovietica con frasi singole apparentemente di complimenti estratte chirurgicamente da un contesto di tuttaltro tenore. Per non parlare delle recensioni entusiastiche per doveri di campanile. Voglio sperare sia solo per quello..
1) TAKEN 2 : ecco il vincitore del premio della schifezza dell'anno.Un film inguardabile ma non perchè cialtronesco dal punto di vista della confezione ( che è altamente professionale).Liam Neeson killer attempatello stermina cattivi come e più di prima ma  stavolta è coadiuvato da un figlia che non avrà la patente ma fa il rally per le strade di Istanbul meglio di un professionista . Famke Janssen vince il premio speciale di Gatta Morta dell'anno.

sabato 29 dicembre 2012

500 post(s) insieme

Eccoci qua: tempo di celebrazioni per l'anno vecchio che se ne va e per quello che sta arrivando ma soprattutto tempo di dare uno sguardo indietro alle pagine e pagine virtuali imbrattate con questo blog nato dallo scazzo di una notte di inverno glaciale. Uno la notte che fa? Pensa a quanto possa essere bello rimanere bloccati in casa, al calduccio quando fuori c'è un metro di neve? Dorme? No, si fa un blog!
Che poi è questo, uno sfogo quotidiano in cui evacuare la mia sovrabbondanza di pensieri cinematografici e non. Naturalmente voglio essere originale e ringrazio tutti quelli visibili e invisibili che sono passati, che quotidianamente passano e che spero passino ancora più numerosi nei tempi a venire.
Io sono un neofita dell'ambiente dei blog in genere e devo dire che mi trovo a meraviglia, non mi avete fatto sentire un intruso. Ora bando alle ciance che queste sono quisiquilie e passiamo anche al classificone di fine anno. Mica possiamo buttare così un post solo con l'autocelebrazione, no?
Quest'anno fare il classificone del meglio è stato veramente difficile perchè ho dovuto lasciar fuori dei titoli con grande dolore tipo Monsieur Lazhar, Detachment,Argo, Amour e altri film che comunque mi hanno impressionato molto favorevolmente E ora veniamo alla hit parade redatta naturalmente in modo del tutto empirico. Ho cercato di privilegiare i film usciti quest'anno o comunque visti in qualche maniera perchè purtroppo viviamo in un Paese che si lascia sfuggire molto cinema bellissimo.
10) KILLER JOE: il vecchio maestro Friedkin rilascia ancora lezioni di cinema alle nuove leve.
9) HORS SATAN: non può esserci una mia classifica di fine anno senza Bruno Dumont, uno dei cineasti più personali e talentuosi che abbia mai visto. Il suo non è cinema: è un'esperienza multimediale completa ed appagante.Ed è veramente imperdonabile che un talento come il suo sia destinato all'oblio cinematografico almeno nel nostro Paese .
8) UN SAPORE DI RUGGINE E OSSA : Audiard è un altro di quei registi che sul mio affollato ramo d'albero ha un altarino personale a lui dedicato. Nelle mani di uno qualunque questo film sarebbe diventato un melodrammone qualunque, invece è un film roccioso come i muscoli del protagonista e allo stesso tempo fragile e dislluso come il personaggio di Marion Cotillard.
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7) I WISH: continuo con un altro dei miei registi feticcio. Un film di Hirokazu Koreeda che parla di bambini di sogni e di treni come solo lui sa fare. Un piccolo capolavoro minimalista naturalmente inedito in Italia.
6) TUTTI I NOSTRI DESIDERI : il nuovo film di Lloret ( quello del bellissimo Welcome) mi ha toccato veramente nel profondo. Saranno lacrime parigine e non napulitane ma non ci si vergogna affatto di versarle.
5) RUBY SPARKS :  la commedia sentimentale dell'anno. Stile Sundance ma una finezza di scrittura e una caratterizzazione dei personaggi che non si trova facilmente nel cinema americano di oggi. Divertente e profondo allo stesso tempo.
4) KOTOKO : il grande ritorno alle origini di Shinya Tsukamoto. Un film visionario e disturbante come ai bei tempi che si avvale della straordinaria prova davanti alla macchina da presa della cantante Cocco. Difficile credere che non sia una professionista.
3) POLISSE : l'ex moglie di Besson dimostra di avere talento da vendere inserendosi nel filone del poliziesco realistico in modo impetuoso.Un film costruito alla stessa maniera dell'immortale Legge 627 di Tavernier, appena sporcato da una deriva sentimentale saggiamente tenuta sullo sfondo. E le storie di abusi su bambini raccontate nel film sono tutte vere. Brividi.
2) C'ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA : altro capolavoro targato Nuri Bilge Ceylan, l'unico nel cinema attuale che possa aspirare al trono di erede ideale del cinema di Antonioni.





1) HOLY MOTORS: per me il film dell'anno( e non solo per me). Esperienza multimediale completa che ribadisce , se ce ne fosse stato ancora bisogno, l'enorme talento di un cineasta troppo avaro verso il suo pubblico adorante. Altro esempio di film sfuggito (al momento) alla distribuzione italiana. Un caso di miopia patologica per un film che rischia di essere uno spartiacque.




venerdì 28 dicembre 2012

Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato ( 2012 )

Gandalf il grigio si presenta alla casa di Bilbo Baggins, zio di un certo Frodo che abbiamo conosciuto forse da qualche altra parte, per convincerlo a partire con lui e con 13 nani capeggiati da Thorin Scudodiquercia per riconquistare il loro regno messo a ferro ma soprattutto fuoco dal drago Smaug.
Tra orchi , troll nanofagi, mannari e goblins , Bilbo incontra l'essere che gli cambierà la vita e gli farà scoprire il coraggio che non sapeva di aver mai avuto: Gollum. E viene in possesso di un certo anellino che sarà molto importante negli anni a venire.
Intanto la compagnia dopo uno scontro con un orco pallido di nome Azog e tutta la sua masnada, arriva finalmente alla meta del viaggio: dove una volta c'era il regno dei nani. Ma il drago Smaug si sta svegliando dal suo sonno centenario.
A grandi linee è questa la trama ma ci sono molti più personaggi e più avvenimenti. Peter Jackson con questo film conferma più che altro di dirigere bene il traffico piuttosto che essere un fantastico regista.
Ho letto recensioni positive, su imdb.com i fans hanno tributato a questo film un voto altissimo e quasi mi sento in difetto a dire che l'altra sera quando sono uscito dal cinema dopo aver visto questo film , avevo le mie palline da bradipo abbastanza girate.
E non perchè fossi entrato di cattivo umore, anzi le aspettative erano piuttosto alte.
Il problema de Lo Hobbit- Un viaggio inaspettato a mio modestissimo parere è che funziona molto meglio da riassunto delle puntate precedenti che da film autonomo. E' costruito come il primo film della passata trilogia ma con tutte le battaglie del secondo e del terzo film.
E poi , lasciatemelo dire: basta con questi film che finiscono proprio quando si entra nel dunque. Sono al cinema e quindi cerco una storia che si concluda dopo quelle due / tre ore, no? Altrimenti mi accomodavo davanti alla tv e mi davo alle serialità televisiva le cui puntate finiscono proprio sul più bello per farti attendere la puntata successiva . Il guaio è che in tv aspetti una settimana, qui se va bene tocca aspettare un anno. E tra un anno se va bene uno si ricorda il 10 % di quello che ha visto, tante e tali sono le sollecitazioni audiovisive a cui è sottoposto un cervello umano per un anno.
Altra cosa a cui vorrei dire un gigantesco EBBASTA!  è anche la divisione in prequels, sequels, newquels....Non se ne può più.
Diciamo che Lo Hobbit- Un viaggio inaspettato fosse per me lo metterei nel gruppo dei perchècazzoquel in quanto non sentivo certo il bisogno di un Signore degli Anelli rifritto in olio di oliva extravergine. Vuoi mettere il condimento? ma sempre un fritto misto è.
Veniamo poi ai tanto strombazzati 48 frame per secondo ( e scusate se bestemmio dal punto di vista tecnico, ma sono solo un umile consumatore). Quindi il cinema tra un po' a sentire Jackson e la sua combriccola diventerà un'arte sequenziale a 48 fotogrammi al secondo.
Allora fermate tutto. Voglio scendere.
Perchè se è vero che dal punto di vista della profondità di campo siamo a livelli di eccellenza perchè sembra veramente di affacciarsi da una finestra a vedere questo mondo incantato ( che, detto tra noi, non è poi così tanto diverso da quello della trilogia precedente), ci sono cose che lasciano perplesso.
All'inizio ho avuto la stessa sensazione che ho provato guardando la tv col mio nuovo televisore a 200 hz. Una risoluzione della madonna che va bene per vedere le goccioline di sudore sulla fronte dei giocatori di basket o di calcio ma un aspetto da telecamera digitale che rovina tutto l'appeal cinematografico di un film.
Sembra di trovarsi di fronte a un tv con l'hd innestato ai massimi livelli. E a me sembra più televisione che cinema , è tutto artefatto , tutto palesemente finto.
Certo che le sequenze in cui la macchina da presa si muove come impazzita non prestano il fianco a critiche o a sfarfallamenti vari ma essendo un film in cui i combattimenti convivono, anzi sono alternati scientificamente, con parti dialogate e molto più statiche, l'aspetto di queste ultime sequenze è qualcosa che all'inizio viene a noia , poi ci si fa l'abitudine anche se non completamente.
Per quanto riguarda la fonte letteraria Jackson ci ha cucito adosso tante altre cose che non appartengono al libro e molti collegamenti alla saga originaria. Altrimenti come tiriamo fuori da un libro di 350 pagine un mappazzone di tre film da tre ore l'uno?
Così da un lato ci teniamo stretti i vecchi fans con una rimasticatura del vecchio e intanto cerchiamo di accalappiare nuovi fans.
Alla fine la vera star del film è il Gollum, impegnato nle duello verbale con Bilbo,  una serie di sequenze totalmente staccata dal resto del film e che impazza con il suo " TESSSSSOOOORO!" ripetuto non so quante volte.
La faccia assomiglia sempre di più a quella di un funzionario di Equitalia, il riporto anche e poi sfoggia anche un perizoma da urlo.
Ricorderò male io: ma non era come mamma, vabbè si fa per dire lo aveva fatto negli altri film?
Mi dispiace perchè sono legato al cinema di Jackson e alla trilogia precedente ma per me questo Lo Hobbit- un viaggio inaspettato è stato un fracassamento di zebedei quasi continuo per circa due ore e quaranta.
Con un piccolo effetto collaterale: la voglia spasmodica di rivedere i film della passata trilogia.
Il cinema non è solo stereoscopia , effetti speciali e un botto di frames al secondo.
Il cinema è soprattutto emozione.
E qui , per quanto mi riguarda, questo aspetto ha latitato.

( VOTO : 4 / 10 ) 

The Hobbit: An Unexpected Journey (2012) on IMDb

giovedì 27 dicembre 2012

Amour ( 2012 )

Georges e Anne sono due insegnanti di musica oramai in pensione che hanno passato le ottanta primavere e le cui uniche aspettative sono una vecchiaia serena e priva di scossoni.Hanno una figlia, Eva, anche lei musicista , sposata e che vive all'estero. Un brutto giorno Anne ha un ictus che le lascia paralizzata la parte destra del corpo. Georges le si dedica anima e corpo facendosi aiutare da delle infermiere. Quando un secondo attacco toglie ad Anne anche il dono della parola facendola diventare una sorta di vegetale, l'amore che Georges nutre per lei viene messo a durissima prova.Qualcosa che non ha mai vissuto prima e che non sa se riuscirà a superare.
La fine è nell'inizio. Haneke da apologeta beffardo di un verbo cinematografico estremamente personale ci racconta tutto con la prima sequenza che fende lo schermo quasi come una rasoiata alla carotide dello spettatore.
E allora cominciano le domande: quanto è grande questo Amour? Che cosa può portare a fare? Perchè il sublime anatomopatologo di conflittualità e pulsioni umane ha fatto un film su un sentimento che brilla per assenza nella sua carriera cinematografica?
Haneke non ha mai parlato d'amore nei suoi film, al massimo ha parlato di una deformazione patologica di quel sentimento ed è anche per questo che Amour si presenta come un film di rottura nella carriera del settantenne regista austriaco. E non può essere spiegato con il sospetto che ci sia un avvicinamento empatico di Haneke ai suoi personaggi, lui che si appresta a vivere la parte autunnale della sua vita.
Per lui è sempre inverno e non sto parlando solo della trilogia della glaciazione: la sua cinepresa è sempre stata solo uno strumento di fredda testimonianza di dinamiche (dis) umane filtrate attraverso una lente grottesca.
In Amour questa lente deformante è messa da parte: forse per la prima volta si avverte la passione che freme nel racconto, lo struggimento per un sentimento diventato asimmetrico per fattori esterni, si avverte quasi coinvolgimento da parte del regista austriaco. E chi conosce la sua carriera sa che sto parlando di cose grosse, grossissime per lui.
Il suo stile asettico con pochissimi movimenti di macchina e un utilizzo perseverato del piano sequenza si dimostra come non mai adatto alla descrizione del piccolo smottamento che giorno per giorno coinvolge la vita di Anne e Georges, un qualcosa che da piccolo e insignificante si trasforma in valanga che travolge tutto e tutti.
Ed in questo è aiutato da un 'ambientazione particolarmente riuscita( perchè la casa mausoleo dei due coniugi diventa una prigione da cui non si può fuggire, o forse sì) e dalla superba prova di due grandissimi "vecchi" del cinema francese, Jean Louis Trintignant ( classe 1930) ed Emmanuelle Riva ( classe 1927 ) che recitano volutamente sotto le righe quasi a voler sottolineare l'inarrestabile progressione drammaturgica del film in cui il nocchiero Haneke conduce lo spettatore a scendere tutti i gradini che portano verso l'abisso.
E allora torna prepotentemente in auge la domanda iniziale: fino a che punto può arrivare l'amore?
Oltre a questo la prima cosa che vien da pensare è che Amour è il titolo più feroce e sarcastico che potesse essere dato a questo film.
Haneke non si smentisce mai ma stavolta con una forma apparentemente più "normalizzata" fa incetta di  premi in tutto il mondo.

( VOTO : 8 / 10 ) Amour (2012) on IMDb

mercoledì 26 dicembre 2012

Ralph Spaccatutto ( 2012 )

Ralph Spaccatutto è il villain di un gioco anni '80, quelli rigorosamente in 2 D . Ogni volta deve subire l'umiliazione da parte dell'eroe del gioco, Felix Aggiustatutto che ripara tutti i danni provocati dall'enorme e sgraziato Ralph che stanco di avere un ruolo subalterno, stanco di essere nascosto come la polvere sotto il tappeto, vuole diventare finalmente un eroe di un videogioco.
Abbandona il proprio arcade game e intraprende il suo percorso formativo ma tutto questo rischia di far crollare miseramente tutto il castello di carte su cui è fondato il mondo dei giochi elettronici, vecchi e nuovi. Ralph vuole vincere solo una medaglia in un gioco di kart ma rischia liberare il più pericoloso virus contro i videogames mai conosciuto. L'incontro con la piccola e decisa Vanellope gli farà cambiare idea sul suo ruolo e accetterà finalmente il suo modo di apparire.
Il Natale al cinema per chi ha figli piccoli equivale al cinepanettone d'animazione Disney, Pixar, Dreamworks o Vattelapesca electronics fa lo stesso.
Quest'anno è capitato Ralph Spaccatutto e devo dire che è stata una scelta abbastanza azzardata per il target  piuttosto basso a cui è rivolto. O meglio non sembra rivolto al target del pubblico natalizio fatto di bambini piuttosto piccoli.
Perchè l'impressione è che il messaggio e l'iconografia imponente messa in campo dal film ( tutta una serie di eroi dei videogiochi passati e presenti) possano essere colti molto più dai genitori che accompagnano che dai bambini stessi.
Se la nostalgia degli anni '80 sta imperversando in tutti i campi perchè allora non recuperarla nei videogiochi?
E infatti il retrogaming, il recupero dei giochi vintage, quelli che negli anni '80 imperversavano nelle sale giochi perchè ancora non c'erano console portatili e i computer erano un lusso ( ancorchè molto primitivo ) che si potevano permettere in pochi, sta sempre più prendendo piede.
Ralph Spaccatutto sembra proprio un 'operazione nostalgia in cui si recuperano vecchie passioni che si chiamano Donkey Kong ( di cui Ralph sembra un surrogato con il suo aspetto tra Shrek e Hulk ) o anche Supermariokart. Interessante l'idea del mondo degli arcade game come di una gigantesca industria in cui i protagonisti dei giochi siano dei figuranti che timbrano il cartellino ( un po' come Monsters and Co) e anche la commistione tra vecchia grafica e nuovo che avanza.
Il problema è che il messaggio del film non sembra essere alla portata dei bambini che costituiranno la maggior parte del suo pubblico. E anche la seconda parte, quella della corsa sui kart della piccola Vanellope per dimostrare finalmente di non essere solo un glitch, fa quasi rimpiangere la partitina coi figli a Supermariokart ( dove si viene irrimediabilmente suonati come tamburi e avere la patente o vantare esperienze di anni e anni alla guida di veicoli veri espone ancora di più al ludibrio dei propri eredi che intanto se la ridono alla grossa) oppure la grafica splendida della corsa automobilistica in Cars 2.
Qui la grafica vintage se aggiunge qualcosa in termini di atmosfera fiabesca ( e quelle piste che sembrano di frutta candita sembrano assai appetitose) toglie parecchio in termini di resa visiva.
Alla fine del film mentre i figli stanno già pensando ad altro, tipo le vagonate di caramelle che vedono all'uscita del multisala, perchè il mondo di Sugar Rush ha avuto un certo influsso tuttaltro che subliminale, io da genitore penso di essere un po' il Ralph Spaccatutto della situazione, perchè anche io sono un sopravvissuto, una specie di residuato bellico di quell'era di videogames grezzi e brutti da vedere perchè  l'ho vissuta da dentro e in cuor mio non la voglio lasciare morire.
Ecco, se mentre si sta vedendo Ralph Spaccatutto si sta pensando di vedere il più brutto film Disney da molti anni a questa parte( e ai figlioli non sembra lasciare molta traccia di sè)  , il consiglio per i genitori è quello di aspettare i titoli di coda perchè alla fine il film arriva e ti lascia il magone per qualche minuto.
Ai figli invece lascia un bel pacchetto di caramelle a testa.
Loro Ralph Spaccatutto lo dovranno rivedere tra qualche anno per capirlo.

( VOTO : 7- / 10 )
Wreck-It Ralph (2012) on IMDb

martedì 25 dicembre 2012

Un mostro a Parigi ( 2012 )

Parigi: Raoul, addetto alle consegne col suo furgoncino ipertecnologico ( per il 1910 in cui è ambientato il film ) di nome Catherine, assieme al suo amico Emile, proiezionista di timidezza patologica legata anche alla sua scarsa statura, una sera provoca un incidente nello strano laboratorio botanico di uno scienziato che vi ha lasciato a guardia una scimmietta. Il risultato dell'incidente è uno strano insetto, una specie di pulce alta più di due metri che con un balzo si sposta da una parte all'altra della città. Arriva al locale di cabaret dove canta la bella Lucille ( amore di una vita di Raoul) e dopo un primo incontro traumatico, lei scopre che il "mostro" ha una voce angelica e un talento soprannaturale per la musica tanto da coinvolgerlo nel suo spettacolo vestendolo di tutto punto per mascherare le sue origini da insetto.
Il prefetto aspirante sindaco, nonchè spasimante di Lucille,  vuole però dare la caccia al misterioso mostro comparso nei cieli di Parigi.
Lotta fino all'ultima stilla di sudore.
Diciamolo subito: Un mostro a Parigi non rimarrà scritto a caratteri indelebili nella storia del cinema d'animazione.
Ma è un prodotto degnissimo di una visione, molto relaxata e accompagnata dai bimbi che troveranno motivi sufficienti per divertirsi.
Il film di Bibo Bergeron, regista per Dremaworks , ma stavolta tornato in patria per raccogliere l'invito di Luc Besson ( si, c'entra pure con questo film! è ormai come il prezzemolo sta dappertutto) per lanciarsi in questa megaproduzione d'animazione, imdb.com parla di un budget di 25 milioni di euro, mostruoso per il cinema europeo, vorrebbe mettersi in concorrenza con gli analoghi prodotti americani ma la sensazione è che ancora ci sia una certa distanza.
E' bello il tratto curvilineo del disegno, ironico e vagamente caricaturale, riusciti molti scenari della Ville Lumière con accostamente cromatici veramente accattivanti, eccezionali alcuni particolari come la sciarpa verde di Emile o il cappotto di paglia di Raoul, ma siamo ancora indietro con le espressioni facciali piuttosto fisse e con l'aspetto generale del film piuttosto spartano rispetto agli analoghi hollywoodiani.
In più di un'occasione si ha la sensazione che c'è un'attenzione al dettaglio quasi maniacale a tutto quello che è in primo piano mentre quello che è sullo sfondo e comunque meno sotto i riflettori, ha un livello di accuratezza molto più basso.
Ciò vale per la città che diventa grigia man mano che ci si allontana dal punto focale dell'inquadratura o per quelle strade inspiegabilmente sgombre durante le numerose scene di inseguimento: pochi passanti, poche macchine, poco di tutto insomma.
Interessante la scelta di racchiudere i numeri musicali nelle esibizioni della cantante Lucille e della pulce formato gigante. In questo modo la colonna sonora si integra alla perfezione con la narrazione per il resto un po' dispersiva perchè alla fine non c'è un protagonista vero e proprio che ruba la scena agli altri.
E comunque le canzoni hanno un loro stile, di una certa raffinatezza che esula dalle melodie smielate dei film Disney.
Anche per quanto riguarda il doppiaggio va meglio del solito: l'unico neo è la voce di Arisa che quando canta sarà pure adeguata ma quando parla normalmente nun se po' senti'.
Sapere che poi nella versione originale c'è Vanessa Paradis aggrava il tutto.
Un mostro a Parigi è una favola che racconta di una città in ginocchio da cui si esce grazie al ballo e al canto.
Tra La bella e la bestia e Il fantasma dell'Opera è un filmetto -etto -etto accattivante per grandi e piccini.
Anche solo per questo merita la visione.

( VOTO : 6 ,5  / 10 )   A Monster in Paris (2011) on IMDb

lunedì 24 dicembre 2012

Rebellion ( aka L'ordre et la morale, 2011 )

Nuova Caledonia, aprile 1988: un gruppo di ribelli indipendentisti Kanak attacca un posto di polizia, uccide cinque  poliziotti e ne prende in ostaggio un'altra ventina. La Francia risponde subito mandando l'esercito, 300 uomini, oltre al gruppo di militari del capitano Legorjus, addetto alla negoziazione.
Si consegna assieme a un gruppetto di suoi uomini ad Alphonse , capo dei ribelli che vuole risolvere tutto in maniera pacifica. Si arriva a un accordo ma tutto viene scavalcato da ordini arrivati direttamente dalla Francia. E tutto questo perchè sta impazzando la campagna elettorale presidenziale.A entrambi i contendenti ( Mitterand e Chirac) serve un gesto forte e le trattative coi ribelli non sarebbero ben spendibili dal punto di vista elettorale. Durante l'attacco muoiono due militari e  molti ribelli Kanak.
Si saprà dopo che molti dei ribelli sono morti dopo la cattura, vittime di barbare esecuzioni da parte dei militari.
A Kassovitz evidentemente piacciono le sfide: perchè se è vero che sotto la polvere del tappeto della sala grande di Buckingham palace c'è nascosta la strage del Bloody Sunday, negli armadi dei  saloni presidenziali a Parigi c'è uno scheletro grosso così che si chiama Nuova Caledonia.
Il film è strutturato come un countdown di dieci giorni dall'inizio della crisi fino al suo esito e Kassovitz sceglie per sè la parte del capitano Legorjus, dalle cui memorie è tratto questo film, passato ingiustamente ( ma in modo atteso per l'argomento che tratta, anche qui qualcosa da nascondere più che da mostrare) sotto silenzio.
Quello che colpisce subito, pure troppo devo dire, è lo stile forbito di regia che sceglie un'estrema vivacità nei movimenti della macchina da presa e si affida a sequenze piuttosto complesse.
Il problema è che forse è uno stile un po' troppo laccato, molto americano ( il film dal punto di vista tecnico non ha nulla da invidiare alle superproduzioni hollywoodiane) per la materia che sta raccontando ma sicuramente non distoglie dal ritmo pressante del racconto.
Dal punto di vista sostanziale è un film a tesi: il titolo originale L'ordre et la morale è tratto da una frase che dice il ministro che si occupa della crisi al capitano Legorjus: c'è la logica e la politica e in questo momento particolare la politica deve cercare di ristabilire con ogni mezzo l'ordine infischiandoesene anche della morale.
Rebellion è un durissimo e accorato je accuse rivolto alle stanze e al ruolo della politica: pur trattando avvenimenti reali del 1988, Kassovitz racconta dell'immutabilità della politica che è interessata solo alle proprie dinamiche elettorali, ai voti , anche se costano vite umane.
In questo non si schiera da una parte o dall'altra perchè Mitterand e Chirac pari sono stati in questa situazione : non ha comandato la logica ma solo l'importanza della campagna elettorale.
E' una distinzione piuttosto manichea vista dalla prospettiva di una delle parti in campo e quindi non sappiamo quanto attendibile fino in fondo: però chissà perchè il discorso che si fa sulla politica sembra molto più rivolto all'attualità che al passato.
Pur di essere eletto un politico sarebbe capace di fare tutto o quasi.
Da una parte ci sono i Kanak, barbari quanto si vuole ma che tengono al mantenimento della parola data, dall'altra c'è la politica che in nome dell'Ordine sacrifica la Morale.
E per farlo usa il suo braccio armato, l'esercito che non fa preecisamente una bella figura.
Un prezzo altissimo , pagato senza battere ciglio.
Rebellion è un film che ha lo spirito del cinema di impegno civile, quello improntato alla protesta contro i massimi sistemi, una pellicola che coniuga efficacemente il senso dello spettacolo con l'urgenza di un messaggio "forte".
Talmente forte che al botteghino è stato praticamente ignorato.

( VOTO : 7,5 / 10 ) Rebellion (2011) on IMDb

domenica 23 dicembre 2012

The Day ( 2011 )

Cinque sopravvissuti in uno scenario postapocalittico si rifugiano in una fattoria abbandonata.Devono fronteggiare un'orda di cannibali.Mentre le due ragazze perlustrano i dintorni della casa e si lavano nel vicino fiume devono fronteggiare un attacco dei cannibali di cui sopra.
Intanto i ragazzi stanno esplorando la cantina della casa: trovano dello scatolame per nutrirsi e invece le scatolette sono piene di pietre.
Fanno parte di una trappola elaborata che uccide uno di loro e fa scattare un allarme acustico.
I cannibali sanno dove si trovano e presto li attaccheranno.
Bisogna prepararsi a passare una lunga nottata.
The Day è l'ennesima variante del filone apocalittico che in questi anni è tornato prepotentemente alla ribalta: colpa della crisi, I suppose, ci sono meno soldi per fare film, anche horror e sci fi , e quindi si fa di necessità virtù: c'è chi vuole fare il mockumentary e chi vuole fare qualcosa d'altro, tipo raccontare l'apocalisse ( genere che si presta ai film low budget per questione di scenografie ultraminimal , fotografia povera e numero degli attori ridotto al minimo) però girando il tutto in maniera un minimo professionale e non finto amatoriale come nel found footage.
Naturalmente quando sento poi parlare di cinema fatto con zero soldi e un bastimento carico di idee a me si illuminano le pupille.
The Day è proprio questo:non spicca in originalità ma può essere considerato una reinterpretazione in senso claustrofobico del genere apocalittico che va a citare la furia primigenia del cinema d'assedio alla Carpenter ( quello di Distretto 13, per intenderci).
I personaggi sono caratterizzati in modo spiccio, senza tanti fronzoli, non ci sono spiegoni trituranti che appesantirebbero la narrazione, c'è solo una lotta intestina per la sopravivenza.
Insomma il classico homo homini lupus: i predatori fuori e i predati , che non hanno nessuna voglia di arrendersi, dentro.
The Day gioca molto sul non visto per ridurre il budget, è buio per la gran parte della durata ma ciò non toglie tensione. E poi ci sono le classiche complicazioni che solo l'uomo può crearsi in una situazione del genere, diciamo che tatticamente sia dentro la fattoria che fuori c'è qualcosa che non va.
Dentro badano bene a dividersi , fuori il capo dei cannibali, che ha due figli, non esita a mandare al massacro parte dei suoi adepti.
In un secondo tempo manda anche il figlio : chi lo farebbe al posto suo?
A parte queste disquisizioni tattiche e qualche particolare un po' troppo economico a vista ( tipo il sangue in computer grafica troppo palesemente finto, un urlo di rosso in mezzo al grigio imperante) quello che piace di questo film dall'aspetto ultraspartano è il suo essere senza speranza.
Si sente aria di countdown per l'estinzione, gli stessi assediati parlano al passato di quando erano di più e quindi ritengono di non avere speranza per il futuro.
E il finale è una stilettata alla carotide ben assestata: alla faccia di tutti i discorsi sul ricominciare assieme.

( VOTO : 7 / 10 )  The Day (2011) on IMDb

sabato 22 dicembre 2012

The day after ( 1983 )

A che ora era la fine del mondo?
Alle 4 e 44 ? alle 5 e 55 ? o alle 6 e 66?
No, forse l'ultimo numero vuol dire un'altra cosa , come lo chiamavano gli Iron Maiden, il numero della bestia?
Ordunque se siamo belli svegli in questo sabato di fine dicembre che ispira più aria di Quaresima che di Natale( 'tacci dell'IMU! ), se ancora ce l'abbiamo con il mondo intero, se la caponata di melanzane messicane ci è rimasta sullo stomaco  da cui partono bruciori inenarrabili, se improvvisamente la nostra pelle ci sembra corta perchè il meteorismo intestinale impazza, allora vuol dire che  siamo tutti qua a sentirci un po' più imbecilli di ieri perchè tutti si parlava di questa famigerata profezia dei Maya...
E se ora trovassero un'iscrizione in uno dei loro templi che dicesse:
" Oh...amo scherzato! che c'avete creduto davero?"
chissà perchè l'accento Maya che mi  butta un po' troppo sul romanesco...
Del resto se anche Gerard Depardieu prenota per la sera del 21 un tavolo per 6 a Rennes Le Chateau, villaggio di meno di cento anime che la leggenda vuole che non possa essere distrutto da nessuna fine del mondo...noi non possiamo attrezzarci con tapas e cervezas per aspettare che tutto finisca?
Ci sentiamo un po' bruchi, vero?Si, quelli di cui parlava Lao Tse, il tizio che aforizzava " Quello che il bruco chiama fine del mondo il resto del mondo chiama farfalla".
oggi invece le farfalle ce l'abbiamo nello stomaco: ma sono al peperoncino di Cayenna, altro che fungo atomico, al massimo allucinogeno.
Allora veniamo al film di oggi, visto che qui ci piace parlare di cinema, anche se molto a pene di veltro: scelta puramente simbolica visto che il giorno del risveglio dopo essersi sfondati il fegato con la cucina messicana in onore alla profezia dei Maya ( che chissà, da qualche parte si staranno facendo quattro grasse risate per averci preso per il culo..) sarà con la spiacevole sensazione di essersi pappati un rattus norevegicus compreso di coda e che si sia fermato tutto di traverso nell'esofago.
The day after è il classico filmone paratelevisivo didattico/educativo che all'epoca fu anche proiettato nelle scuole, mondato delle parti più "forti" ( a dire il vero anche un po' ridicole a rivederle dopo quasi trenta anni).
Addirittura dalle mie parti fu l'ultimo film proiettato da un cinema prima della sua chiusura definitiva . Insomma un The day before.
Il film di Nicholas Meyer parla di una catastrofe atomica che si abbatte sugli USA e in particolare su un piccola parte del Missouri vicino Kansas City ( credevate che Kansas City era nel Kansas, eh ? e invece no,è divisa in due dal fiume Missouri e il pezzo più grande della città non sta in Kansas, anzi esistono due Kansas City divise da un fiume, verba volant, wikipedias manent).
L'effetto, credo voluto, è quello della soap, c'è un collage di varie storie , da buon patito di Romero c'è da dire che l'ultima parte  del film è molto romeriana, sul post apocalittico andante e a distanza di anni sembra ancora la più efficace.
The day after ricostruisce un dopo bomba atomica in modo realistico e per questo sembra molto più vicino a noi di quanto possano essere le storie vere delle bombe di Hiroshima e Nagasaki  che abbiamo sempre sentito raccontare ma forse visto poco.
Invece quel fungo atomico che campeggia sulla locandina dice molto di più di tutto il sentito dire.
Alla faccia delle duemiladodiciate emmerichiane  nonostante  effetti speciali che cominciano a mostrare i segni del tempo che passa, The day after è un film che ha raccontato un qualcosa che all'epoca sembrava che stesse lì lì per accadere.
Altro che profezia dei Maya.
Altro che cena messicana superpiccante per andarsene da questo mondo infame almeno con la panza piena.
Oggi riso in bianco.

venerdì 21 dicembre 2012

Submarine ( 2010 )

Il quindicenne Oliver Tate, precisamente non il più popolare all'interno della sua scuola , si è posto due obiettivi a breve termine per l'estate: avere una relazione sentimentale stabile con Jordana in modo da perdere a stretto giro di tempo la verginità e riportare il sereno nel matrimonio dei genitori, sabotando l'incipiente relazione della madre con un ex amante fascinoso,ora apostolo dello stile new age che è ritornato impetuosamente dal passato.
Piccoli Wes Anderson crescono.
E' questa la prima frase che viene in mente mentre si guarda il film che sembra pieno zeppo di tutti quei personaggi stralunati e sghembi classici oramai del cinema del regista americano.
E poi vuoi mettere lo studiatissimo decor anni '80, l'ambientazione strepitosa in un villaggio gallese sulla costa che a malapena è conosciuto al di fuori dei patrii confini, la fotografia che accentua i colori pastello e gli umori saturnini dei personaggi in scena?
Siamo in un limbo dove convivono , oltre al cinema di Anderson, una spruzzata di stile Sundance, la libertà totale della messa in scena  della Nouvelle Vague, il nero sarcasmo e la tenerezza di una perla come Harold e Maude ,echi de Il calamaro e la balena di Baumbach e  richiami del Van Sant de L'amore che resta ( film comunque posteriore a questo ma probabilmente più conosciuto) soprattutto per come viene trattata la relazione tutta ups and downs che c'è tra Oliver e Jordana su cui incombe sempre un alone funereo.
La voce fuori campo di Oliver incornicia il film, diviso in tre parti più epilogo, con un'ironia caustica, tipicamente british, che diventa un valore aggiunto alle immagini.
Submarine è un romanzo di (de) formazione in cui si mescolano i massimi sistemi ai minimi comuni denominatori, si parla dei problemi che a quindici anni sembrano montagne invalicabili da scalare e poi l'estate dopo sembrano quisquilie a cui guardare con quel pizzico di nostalgia che accompagna sempre il passato che si vuol ricordare.
Incredibile la performance dell'allora esordiente al cinema Craig Roberts ( la faccia da nerd di chi non ha mai dimostrato in vita sua quindici anni ma sempre molti di più) che contribuisce all'empatia che subito il film scatena allorchè entra in scena Oliver e tutta la sua sarabanda di dubbi amletici, pipponi mentali e proiezioni deviate per il futuro.
Finale a bagnarsi i piedi sulla battigia: se non fosse che Oliver conosce benissimo il mare per abitare praticamente accanto alla spiaggia e per essere figlio di un biologo marino, quel correre sulla riva con l'acqua che lambisce i piedi e quello sguardo così estasiato mi hanno fatto pensare di trovarmi di nuovo di fronte ad Antoine Doinel e alla sua meraviglia nello scoprire finalmente quanto possa essere bello il mare come nell'immortale finale de I 400 colpi.
Eccellente anche il cast di supporto ( Noah Taylor, Sally Hawkins e un inguardabile Paddy Considine versione gallo cedrone con una cresta che te la raccomando) così come è centrata la colonna sonora.
Per essere un esordio al cinema , Richard Ayoade dimostra talento e personalità nel non scegliere facili scorciatoie.

( VOTO : 7 + / 10 )  Submarine (2010) on IMDb

giovedì 20 dicembre 2012

The Grey ( 2011 )

John Ottway è un di agente di scorta di lavoratori a una stazione petrolifera. Deve impedire con il suo fucile da cecchino che i lupi delle gelide distese dell'Alaska attacchino gli operai impiegati spesso allo scoperto e senza protezioni. Si intuisce subito che ha il suo bel carico di scheletri nell'armadio dal fatto che abbozza un tentativo di suicidio per poi ripensarci subito. Salito sull'aereo per tornare a casa assieme agli altri lavoratori miracolosamente scampa a una sciagura aerea che lascia pochi sopravvissuti allo schianto. Oltre al freddo che presto li ucciderà se non si spostano per farsi trovare dai soccorsi devono fronteggiare un branco di lupi famelici che mal sopportano l'invasione del loro territorio da parte di un manipolo di umani.
La lotta ha inizio.
Curiosa la carriera piuttosto ondeggiante di Joe Carnahan, regista di questo film. Ultimamente legata a quella di Liam Neeson di cui sembra la nemesi dietro la macchina da presa per come si imbarchi in progetti degni di nota alla stessa maniera in cui diriga film piuttosto discutibili e usiamo un sottile eufemismo.
Se Liam Neeson quest'anno ha nel suo curriculum la macchia indelebile di quello che forse è lo scult dell'anno ( il cinepanettone action Taken 2 ),il film precedente a questo di Carnahan era quell'a-dattamento a-bbastanza a-nfame di una delle serie più cult degli a-nni '80, ovvero A-Team.
Le prime sequenze di The Grey fanno subito pensare di trovarsi di fronte a un regista coi controfiocchi ( e ti fanno chiedere , ma sicuro che ha fatto A-Team?) e soprattutto a un fotografo di notevolissimo talento, Masanobu Takayanagi.
Joe Carnahan ce l'ha il talento, a volte lo tiene custodito gelosamente in un cassetto , stavolta, per nostra fortuna,  lo mette al servizio di una storia non inedita ma trattata col giusto respiro, con quell'afflato di epicità che non si tinge mai di retorica come spesso succede nelle produzioni hollywoodiane.
Il John Ottway di The Grey è un personaggio cazzuto ma sicuramente non invincibile , apparentemente senza  molta voglia di vivere.
Almeno non sembra un Superman attempato che provoca una mezza catastrofe mondiale e non esce neanche spettinato come succedeva in Taken 2.
Ha i suoi dubbi, le sue incertezze , sa che la lotta col branco di lupi è solo una questione di sopravvivenza del più forte. E sa fin dall'inizio che il tutto si risolverà con un duello tra i due maschi alfa del branco.
Come in un western.
E in un certo senso The Grey è un western , glaciale, su cui aleggia sempre una sensazione di morte, condizionato da quell'incombente personaggio aggiuntivo , la natura minacciosa che è sempre sul punto di inghiottire quegli insignificanti  puntini neri sul bianco della neve che per il resto del mondo sono uomini.
Dal punto di vista formale il film di Carnahan è degnissimo di nota, la fotografia notturna strappa applausi.
Sostanzialmente però racconta una storia già vista e si muove con dinamiche sicuramente non nuove: l'uomo che riesce malamente a convivere in branco, la ripetitività di un meccanismo da survival movie in cui inevitabilmente il manipolo degli umani si riduce mano a mano che il tempo avanza, lasciando dietro i più deboli.
E quei lupi visti come creature demoniache della notte ( quegli occhi come fiammelle maligne che si accendono nell'oscurità) sembrano più adatti a un film di licantropi che a un qualcosa che cerca un realismo di una lotta tra uomo e natura.
Il lupo non è l'incarnazione del male: difende semplicemente il suo territorio dagli intrusi, bipedi o quadrupedi che essi siano.
Il finale è un colpo di coda di originalità. quando tutto è pronto per il duello finale tra capobranco umano e il suo omologo animale a zanne in fuori  tutto viene cristallizzato in un ultimo sguardo, in quelle rughe che percorrono il volto di un uomo che ne ha viste forse troppe nella sua vita.
E poi ....

( VOTO : 6,5 / 10 ) The Grey (2011) on IMDb

mercoledì 19 dicembre 2012

Sister ( 2012 )

Il dodicenne Simon vive rubacchiando quello che può (sci, caschi, occhiali da sole ) e rivendendoli a turisti o a chi per loro in una lussuosa stazione sciistica svizzera. Lui abita a valle in una casa popolare, lotta ogni giorno per mettere assieme pranzo e cena, bada anche a una sorella più grande, Louise, che lavora saltuariamente e che spesso sparisce.Tra i due quello più cresciuto appare Simon che per tutta la stagione è in piena attività.
Ma poi le vacanze finiscono, gli alberghi si svuotano e anche i lavoratori stagionali migrano dove sono richiesti.
Ma Simon è ancora troppo piccolo.
Ursula Meier dopo il brillante esordio di Home, favola ecologista dal tocco vagamente surreale, stavolta cambia totalmente registro immergendosi totalmente nel realismo.
Fa strano vedere che anche nella super prosperosa Svizzera il mondo proceda a varie velocità: c'è il paradiso dorato dei turisti che adagiano i loro ventri molli nei resort tra drink, prnazetti gustosi e sciate a tempo perso, ci sono i lavoratori stagionali che con il loro sudore fanno funzionare tutto questo luna park di divertimenti e poi c'è Simon che vive dei rimasugli che gli restano.
Ogni giorno prende la teleferica che unisce anche simbolicamente il mondo dei poveri con quello dei ricchi
ruba e rivende le attrezzature come può, a volte ha soldi in tasca , a volte deve elemosinare cibo dai  vicini per cenare.
I soldi per lui sono solo materia prima da trasformare in carta igienica, latte e altri beni di prima necessità.
Se già questa fotografia impietosa di una realtà inaspettata colpisce duramente, Sister scava ancora di più nella sensibilità dello spettatore con la descrizione appassionata di un rapporto fratello/sorella a prima vista irrisolto, che non sembra mai sbocciato.
Louise è al più grande ma tra i due quello che fa funzionare la baracca è Simon con le sue attività .Gli occhi grandi e tristi della sorella sembrano nascondere chissà quale segreto eppure è Simon che sembra avere un bisogno quasi ossessivo del contatto fisico con la sorella.
La paga addirittura per dormire fianco a fianco con lei, per sentire solo la sua presenza rassicurante.
E lei quei soldi se li va a bere per locali. Per dimenticare.
Sister ( titolo originale il ben più calzante L'enfant d'en haut ) è un film il cui cuore pulsante rimanda ai Dardenne e al loro cinema verità. I primi minuti soprattutto in cui la cinepresa pedina da vicino il piccolo Simon sembrano proprio di pertinenza dei fratelloni belgi che tanto bel cinema ci hanno regalato.
 L'approccio stilistico della Meier tuttavia è diverso, meno rischioso, è evidente l'intento di arrivare a un pubblico più ampio possibile. Si spiega in questo modo anche la presenza, pleonastica a mio modo di vedere, di Gillian Anderson nella parte della turista che Simon conosce casualmente ma il loro rapporto è appena abbozzato( la parte più debole di tutto il film).
C'è poi  una fotografia importante ( di Agnes Godard) che incornicia un film luminoso che si nutre di scorci montani estremamente suggestivi intervallati a una vallata molto meno poetico e spaccata in due da una strada che l'attraversa ( un memento dell'autostrada che avevano in giardino i componenti della famiglia di Home?), anche la colonna sonora è parecchio curata.
Le scene drammatiche sono però di intensità emotiva quasi sovrumana e alleviano appena gli intermezzi più leggeri in cui Simon fa scuola di ruberia ai suoi piccoli amici delle case popolari.
Del resto che te ne fai di un panorama mozzafiato se non hai nulla da mangiare?

( VOTO :7,5 / 10 ) 

Sister (2012) on IMDb

martedì 18 dicembre 2012

Cena tra amici ( 2012 )

Cena tra amici  in un caldo 15 agosto  a casa di Elisabeth e di Pierre. Entro poco arriveranno il fratello di lei Vincent, la di lui compagna Anna che sta aspettando un figlio e Claude, amico di lunga data di entrambe le coppie.
Chiacchiere in libertà fino a che l'argomento della discussione scivola sulla scelta del nome del nascituro che se per Vincent è normalissima per gli altri è assai controversa.
Ne vien fuori un discorso su massimi sistemi e minimi comuni denominatori che presto si trasforma in una resa dei conti tutti contro tutti.
Cinque attori in stato di grazia inseriti nell'unità di luogo e di tempo: ecco così confezionato un film che pur originato da una piece teatrale di successo fa quasi dimenticare l'origine dello script.
Merito di una regia vivace e di un fuoco di fila di battute che non dà tregua.
Il confronto con Carnage  è quasi inevitabile ma occorre sottolineare che pur partendo da uno spunto molto simile i due film divergono profondamente: se il film di Polanski si basa sulla contrapposizione sociale tra due coppie che prima dell'incontro non avevano alcun tipo di relazione, usando spesso la clava per portare avanti il proprio discorso,Cena tra amici a differenza dell'altro è sempre condotto col sorriso sulle labbra, in punta di fioretto, l'ironia fa sempre capolino anche in quei momenti che sembrano apparentemente più tesi.
Il film del duo Alexander de la Patellière e Matthieu Delaporte , autori della piece teatrale di successo da cui è tratto, è un divertissment stimolante , un qualcosa che ti fa pensare che l'intelligenza non è un optional e in questo differisce dalla quasi totalità delle commedie superificiali a cui siamo sottoposti continuamente.
Non semplice teatro a 24 fotogrammi al secondo ma una radiografia in bianco di cinque personaggi messi alternativamente sotto la lente di ingrandimento.
Se in Carnage si passava dalla normalità delle relazioni alla violenza sia verbale che fisica, qui non si trascende (quasi) mai e sorprende che quasi due ore passino così in fretta, seppur confinate praticamente in due stanze, un surrogato elegante di un palcoscenico teatrale.
I vari personaggi vengono demoliti mattone dopo mattone in nome di una riflessione più complessa sull'ipocrisia che caratterizza la nuova borghesia: Vincent , il danaroso agente immobiliare che scherza sul nome da dare al figlio è ironico sugli altri e molto meno su se stesso, Pierre, docente universitario è colto ma presuntuoso, ansioso di mostrare agli altri la sua superiorità culturale di stampo gauchista, Elisabeth, moglie di Pierre dimostra presto il suo status di casalinga disperata, frustrata e infelice, Anna , moglie di Vincent , vittima dell'equivoco del nome poi mette in mostra tutto il veleno che ha in corpo e Claude, musicista dalla vita piena di coni d'ombra, finalmente dà qualche spiegazione sulla propria esistenza. E non sarà per nulla gradevole.
Cena tra amici è una commedia che sembra scandita da un invisibile metronomo che calibra al meglio le performances straordinarie degli attori in scena ( non a caso gli stessi della rappresentazione teatrale, è palpabile il loro affiatamento) e che riesce a superare con indubbia eleganza formale lo status di teatro inscatolato.
Forse intellettualistica e anche un filo snob ma sono due ore spese bene, non c'è pericolo di annoiarsi.

( VOTO : 7,5 / 10 ) Le prénom (2012) on IMDb

lunedì 17 dicembre 2012

Juan De Los Muertos ( aka Juan of the Dead, 2011 )

Nell'anniversario della rivoluzione socialista a Cuba, Juan, perdigiorno professionista , si accorge che c'è qualcosa di strano nell'aria. Non morti cannibali si aggirano per le strade de L'Havana e non sembrano proprio dissidenti pagati dagli USA come dicono i telegiornali della tv di Stato. Anche nel suo condominio succedono fatti inspiegabili: un suo vicino apparentemente morto è tornato in vita ed addirittura è tornato a camminare dopo quindici anni di sedia a rotelle. Il problema è che ha fame di carne umana e non si sa come rimandarlo all'altro mondo.L'aglio non funziona, impalarlo neanche  e un maldestro tentativo di esorcismo va a vuoto. Però ci sono tanti modi per usare una croce di legno....Capita l'antifona, assieme a dei suoi amici mette su un business di uccisione di zombies ( Juan De Los Muertos, matamos a tu seres queridos- uccidiamo i tuoi cari-) ma la situazione è fuori controllo. Assieme al suo miglior amico Lazaro, a sua figlia Camila che si vergogna ad avere per padre uno come Juan, al ventenne Vladi California figlioccio di Lazaro, alla trans La China  e al suo angelo custode El Primo, un armadio quattro stagioni di muscoli che però sviene alla vista del sangue, cercano il modo di fuggire da Cuba.
Ma bisogna farsi strada attraverso un'orda di zombies famelici.
L'accoppiamento zombie/ risate non è affatto  inedito a partire dal fenomenale Shaun of the dead di cui questo film  può essere considerato legittimamente un erede.
Non una semplice imitazione di bassa lega ma una rielaborazione con idee nuove e  soprattutto un qualcosa di assolutamente originale.
Juan de los Muertos è un film di zombie ambientato a Cuba ( a mia memoria il primo)  ed ispira simpatia  solo per essersi infiltrato con la sua scorrettezza politica tra le maglie della rigidissima censura di regime.
Più della denuncia potè la satira e qui siamo veramente ad alti livelli: Juan a detta sua è un reduce dell'Angola ( peccatuccio castrista) e che è sopravvissuto a talmente tante sciagure cubane che un manipolo di zombie non può certo mettergli paura, in piena apocalisse i telegiornali continuano a parlare di dissidenti pagati dagli Stati Uniti, Lazaro e Juan la sera prima di tentare la fuga hanno un dialogo ( tra risate e tristezza ) e dietro di loro lampeggia la scritta Habana Libre in un'insegna gigantesca al neon , vengono messe alla berlina le manie oscurantiste del regime, la persecuzione degli omosessuali, qualche vizietto dei cubani ( tipo il consumo smodato di rum, vedere di che cosa è fatta una parete nella casa di Juan) e anche il business messo su da Juan e dai suoi amici fa collassare dal ridere al solo pensiero.
Anche sotto il versante horror siamo messi piuttosto bene: nonostante una certa economia di realizzazione e un'aria di simpatica rusticità, i trucchi non sono affatto malvagi e c'è una discreta fantasia nel proporre metodi "nuovi " per far fuori più zombie possibili ( per esempio attraverso il baseball, sport nazionale cubano, oppure usando i muscoli di El Primo dopo averlo bendato per non farlo svenire e usandolo guidandolo come una marionetta indicandogli dove colpire).
Ci sono anche alcune notevoli scene di massa che non ti aspetteresti nel tuo zombie movie fatto in casa anche se la confezione appare più che adeguata all'esportazione.
E comunque ce n'è anche per i gringos americani che vogliono salvare il mondo a tutti i costi.
A vedere il film quindi l'unico modo per ottenere la disfatta del regime castrista e far invadere l'isola dagli zombies.
Qualcuno prenderà nota.
Se pensavate che avevate visto tutto dopo che  in Shaun of the dead si uccidevano zombie a colpi di vinile di Sade, allora resettate e guardate questo Juan De Los Muertos; ci sono tanti modi per uccidere zombie e tante strade per arrivare al cervello, anche lunghe.
E qui verso il finale se ne sceglie una tanto lunga e tanto dolorosa anche solo a vederla dal di qua dello schermo.
Provare per credere.
Una piccola chicca : i titoli di coda scorrono su una graphic novel con musica fornita dalla versione di My Way cantata da Sid Vicious.

( VOTO : 7,5 / 10 )  Juan of the Dead (2011) on IMDb

domenica 16 dicembre 2012

Sinister ( 2012 )

Ellison Oswald è uno scrive libri basati su eventi criminosi realmente accaduti e sta cercando di rinverdire il suo successo editoriale di anni prima con il suo nuovo libro basato sulle strane stragi di alcune famiglie sparse per la provincia americana. Unico dato in comune la sparizione di uno dei bambini appartenenti alla famiglia stessa. Per entrare di più nell'atmosfera del suo nuovo libro si trasferisce con tutta la famiglia nella casa teatro dell'ultima strage ( quattro persone impiccate tra adulti e bambini) e trova quelli che sembrano degli snuff films in 8 mm in cui sono contenuti i filmati di altri omicidi collettivi. Serial killer o rituale pagano ad opera di una entità demoniaca?
Sinister si presenta con ottime credenziali: un regista magari non proprio al top della categoria horror ma comunque esperto, un attore protagonista che ha vissuto in un passato recente un periodo importante di successo ( ma quante analogie ci sono col protagonista del film? Ethan Hawke sembra aver imboccato un po' troppo prematuramente il viale del tramonto senza voltarsi indietro) , un discreto successo di critica negli USA ( addirittura Roger Ebert, il decano dei critici americani, non propriamente un horror addicted  ha gradito molto) e last but not least, un incasso di tutto rispetto  quasi 48 milioni di dollari a fronte di un budget, veramente misero per gli standard americani, di 3 milioni di dollari che pare gli garantirà l'ingresso nelle nostre sale cinematografiche nell'arco del 2013, forse, perchè con i distributori italioti non c'è mai da essere sicuri di nulla..
Leggendo critiche nostrane comunque già le prime crepe erano comparse nella fama di questo film ma da bravi santommasi abbiamo voluto toccare con mano.
E le crepe sono diventate profonde fenditure: Sinister ha una fama immeritata.
Pur se ben confezionato, con una buona fotografia e uno score musicale suggestivo usato come vero e proprio corpo contundente nei momenti clou del film, il film di Derrickson  appare fatalmente derivativo per come racconta , ambientandola nella solita provincia americana in cui il sonno della ragione genera mostri, quella che sembra all'inizio la storia di un Jack Torrance de' noantri.
Per fortuna poi il film svolta per altri lidi ma non c'è da stare così allegri : tutto ma proprio tutto il film è sulle spalle capienti di Ethan Hawke, il ruolo della sua famiglia è totalmente appiattito, i dialoghi sono quanto di più ovvio si possa sentire e anche la progressione orrorifica del film è talmente diluita nei 105 minuti di durata ( onestamente troppi per quello che viene offerto allo spettatore) che gli sbadigli regnano sovrani.
Vogliamo poi parlare del demone Bughuul o Mr Boogie che dir si voglia? Sembra un qualsiasi vocalist di una black metal band che fa uso del face painting. Non mette paura. Fa ridere.
Una parola per i pupi del protagonista: uno autistico ( o solo sonnambulo) durante la notte  lo ritrovano negli angoli più sperduti della casa o del parco ( ma magari chiudere a chiave la stanza pare brutto?); l'altra ha il vizio di fare graffiti sulle pareti della stanza  ma ha il permesso di farlo solo nella sua camera.
Roba da strozzarla seduta stante per come riduce le pareti della sua cameretta.
In una sequenza poi siamo alla pantomima pura: Ethan Hawke si aggira per i corridoi di casa con una mazza da baseball e tutti i fantasmi dei bambini scomparsi sembrano coglionarlo, scusate il francesismo, giocando a nascondino dietro di  lui
L'effetto che vorrebbe essere terrorizzante è invece solamente comico, naturalmente in modo del tutto involontario.
Sinister è il classico film in cui la forma prevale sulla sostanza, un contenitore con intarsi raffinati  ma con dentro un grezzissimo vuoto rimasticato.
Peccato.

( VOTO : 4,5 / 10 ) 

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