I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

domenica 30 giugno 2013

Hunger ( 2008 )

La storia vera dell'attivista irlandese Bobby Sands , arrestato come altri suoi compagni e lasciato a marcire nelle galere inglesi come un criminale comune , visto che la Thatcher nell'81 ha abolito per legge lo status di prigioniero politico. Bobby,che durante la sua permanenza in prigione è stato eletto parlamentare, per ribellarsi alle condizioni terribili in cui sono detenuti e per denunciare la violenze continue a cui sono sottoposti comincia uno sciopero totale della fame che lo condurrà a morte dopo 66 giorni assieme ad altri suoi colleghi. Il suo sacrificio e quello degli altri ragazzi con lui determinerà il cambiamento tanto agognato...
Hunger rappresenta l'esordio nel lungometraggio di Steve McQueen ( la c vezzosamente in alto) e stupisce che un uso così competente del mezzo espressivo sia ad opera di un esordiente.
Dopo una prima parte girata con uno stile volutamente piatto ( ma senza rinunciare a sequenze molto arty, anche un po' pretenziose, usate come flash da intervallare al ritmo placido della narrazione) per poter catturare al meglio la monotona quotidianità del poliziotto inglese, un servitore della regina fedele e brutale allo stesso tempo, nella seconda parte il film cambia decisamente stile e registro.
Dopo aver lasciato spazio soprattutto alle immagini e poco alle parole, dopo non aver sottratto la cinepresa praticamente di fronte a nulla quando si è trattato di seguire da vicino le violenze inenarrabili a cui venivano sottoposti i prigionieri irlandesi, vittime anche del clima di terrore in cui vivevano i sudditi di sua Maestà ( perchè naturalmente gli agenti penitenziari e comunque gli esponenti della polizia o dell'esercito inglese erano spesso bersaglio di attentati mortali), a metà del film, in posizione strategica a mo' di spartiacque, viene piazzato quello che non ti aspetti.
Il colloquio tra Bobby Sands e il prete che ha fatto chiamare è un lungo piano sequenza di 15 minuti, senza neanche la ricerca di un 'ossigenante alternanza tra campo e controcampo.
Quindici minuti in campo medio in cui i due personaggi ( grande prova di Fassbender nella parte di Sands e di Liam Cunningham in quella di padre Moran) dicono tutto quello che c'è da dire e da far conoscere sulla questione nordirlandese e sul clima in cui tutti sono costretti a vivere.
Un diluvio di parole che tuttavia non annoia, prende quasi alla gola e che illumina un racconto torbido di un periodo della storia inglese che tutti vorrebbero nascondere.
La democrazia , questa sconosciuta.
Il contrasto tra i modi affettati dell'agente protagonista della prima parte del film e la sua furia nell'applicarsi al suo lavoro ( far soffrire il più possibile i detenuti nordirlandesi) è la visualizzazione di questa schizofrenia antidemocratica , uno stato di guerra civile che è stato mascherato ostinatamente da criminalità comune .
Il tutto sotto gli occhi del mondo che ha protestato flebilmente ma alla fine è stato solo a guardare la fine di Bobby Sands e degli altri suoi compagni assieme a lui.
Nell'agonia dell'attivista non c'è nessun compiacimento nonostante la potenza beluina di immagini talmente "forti" che rimangono impresse nella memoria.
Steve McQueen non cerca il clamore dell'eccesso anche se si sofferma con la sua telecamera su dolorosissime piaghe da decubito.
E il corpo smagrito, smunto, scarnificato di Sands/ Fassbender, avvolto in quel lenzuolo /sudario , ferito ma non annullato ha un che di cristologico.
Anche se Bobby Sands non sarebbe mai stato, nè mai avrebbe voluto diventare un Gesù Cristo dei nostri giorni.
Non avrebbe voluto neanche diventare un martire della libertà ma vivere serenamente e veder crescere suo figlio.
Per chi non conosce la figura di Bobby Sands questo film è un ottimo inizio per sapere qualcosa su di lui.
Per chi già ne conoscesse la storia , Hunger ne rinsalderà la memoria col suo flusso geometrico di immagini che pesano come pietre.

( VOTO : 8 / 10 ) 


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sabato 29 giugno 2013

The Battery ( 2012 )

Due giocatori di baseball, differenti in tutto e per tutto, Mickey e Ben si aggirano per la profonda provincia americana infestata di zombies. Sopravvivono alla giornata spostandosi continuamente e difendendosi da chi li minaccia ( solo Ben, perchè Mickey si rifiuta di uccidere zombies). Tra lunghe passeggiate, soste a lanciarsi la palla da baseball, sessioni di pesca e pasti frugali con cibo in scatola la loro vita trascorre senza scossoni finchè tramite un casuale contatto radiofonico vengono a sapere di un posto dove ci sono altri sopravvissuti....
Potenza del destino: proprio mentre gli schermi cinematografici sono invasi dalle masse di zombies di World War Z, sul mio schermo personale appare questo The Battery,pellicola  con un discreto successo nel giro di molti festival specializzati, che se possibile incarna tutto il contrario della grandeur dell'ultimo film bradpittesco.
Girato con 6000 dollari- leggansi seimila- ma fatto tutto con assoluto e dignitosissimo professionismo ( anzi spiegatemi perchè The Battery riesce a essere assolutamente presentabilissimo dal punto di vista cinematografico mentre Dario Argento con 7  milioni e mezzo di euro confeziona una schifezza ultradilettantesca ) l'opera prima di Jeremy Gardner, protagonista nella parte di Ben e sceneggiatore, si segnala per la sua attitudine vintage, un po' sbracata, con due protagonisti che anche fisicamente con le loro panzette in bella vista e i loro pettorali scolpiti dagli hot dogs, incarnano alla perfezione la normalità che rifugge qualsiasi stereotipo accostabile al classico eroe hollywoodiano.
Non hanno neanche la statura dell'antieroe: sono cazzoncelli che sembrano in gita premio eppure non è così. Ben si occupa dell'uccisione degli zombies quando vengono attaccati, si procaccia il cibo fresco, chiede spesso all'amico di giocare a baseball, Mickey è sempre attaccato a delle cuffie che sparano musica come a volersi isolare dal mondo in cui vive e forse anche dalla compagnia di Ben che la casualità gli ha assegnato.
C'è spazio anche per l'ironia nerd, sbracatissima, quando Ben per far finalmente decidere Mickey a imbracciare la mazza da baseball per uccidere zombies gliene porta uno in camera mentre sta domerndo chiudendolo nella stanza assieme a lui oppure quando una zombie con dei bei pettorali degnissima per partecipare a un concorso Miss maglietta bagnata cerca di attaccare Mickey chiuso all'interno della macchina e lui invece di cercare di cacciarla, eccitato da quello che intravede, si spoglia e si tocca esponendosi al ludibrio da parte dell'amico che arriva in suo soccorso.
A una prima parte on the road costellata di bellissime locations a costo zero in cui la natura lussureggiante la fa da padrona, segue una seconda parte in cui i due si ritrovano prigionieri nella loro auto circondata da una masnada di creature ululanti.
Il tono del film cambia, lo stile anche passando dalle lunghe panoramiche silenziose quasi a volersi nutrire dei suoni della natura al piano sequenza che riesce a trovare profondità pur se confinato, asfissiato , in una Volvo station wagon.
The Battery è un horror/apocalittico a conduzione "familiare" (a leggere i nomi nei credits la troupe deve essere stata veramente ridotta) che, dato il budget risibile lavora sulle suggestioni e sulle atmosfere togliendo tutto il superfluo . Perchè si può fare un film con zombies senza troppo sangue e frattaglie e senza troppe creature riuscendo lo stesso a essere credibili e a dando alle stampe un prodotto valido.
In questo, il film di Gardner è molto romeriano perchè torna alle radici del genere: l'orrore non sarà dato dalla moltiplicazione degli zombies ma dall'atmosfera ansiogena che si riesce a creare.
Ecco ora pensate di inserire in un film di questo genere dall'estetica povera, dalla fotografia un po' sgranata e dall'atitudine un po' hippy, due personaggi che potrebbero essere presi benissimo dal campionario di umanità debosciata presente in  Clerks di Kevin Smith.
Ora forse non avrete un quadro preciso di cosa è The Battery ma ci andrete molto vicino.
Da segnalare una colonna sonora bella e usata benissimo.

( VOTO : 7 / 10 ) 


The Battery (2012) on IMDb

venerdì 28 giugno 2013

Orphan ( 2009 )

Kate e John stanno cercando di ricostruire faticosamente il loro matrimonio messo a dura prova da un aborto doloroso e da altre vicissitudini che partono dall'alcolismo di lei e da un tradimento da parte di lui.Vorrebbero avere un' altra figlia ma ormai lei è isterectomizzata per cui decidono di adottarne uno e la scelta ricade su Esther, nove anni, bei modi e una storia dolorosa alle spalle. Cominciano subito i problemi perchè i figli naturali della coppia le sono apertamente ostili e dopo un po' anche Kate si accorge della vera natura di Esther, crudele e manipolatrice. Avvengono strani incidenti e al centro c'è sempre Esther. C'è qualcosa che non va in lei e Kate si mette in testa di scoprire cosa anche a costo del suo matrimonio che oramai sta andando a rotoli....
In principio fu L'innocenza del diavolo , pellicola in cui un visetto che era stato considerato angelico da milioni e milioni di fans si trasformava nel volto di uno spietato assassino bambino. Quel volto apparteneva a Macaulay Culkin, star di parecchio cinema per bambini o per famiglie di inizi anni '90.
I riferimenti di Orphan a tale pellicola sono abbastanza palesi ma qui c'è differenza che l'attrice che interpreta Esther, Isabelle Fuhrman appare subito inquietante con la sua aria vintage e i suoi vestiti clamorosamente fuori moda.
Quindi sotto questo profilo sappiamo subito che cosa aspettarci e del resto il regista Jaume Collet Serra, un passato glorioso a girare spot televisivi, non punta sull'effetto sorpresa. Anzi, fa vedere subito di che pasta è fatta Esther e di come prevarica i fratellastri a cui mostra subito il suo volto feroce.
Il problema sono gli adulti che capiscono poco e tardi quello che sta succedendo: Kate quando ha sentore di qualcosa si impegna in uno scontro frontale col piccolo demonio, mentre John è come soggiogato dalla bambina e la sua dabbenaggine deciderà il suo destino.
Orphan è girato con uno stile senza troppi compromessi: procede per accumulo di situazioni , tira sciabolate piuttosto che lavorare di fioretto su paure e suggestioni, lascia poco o nulla all'immaginazione.
Sembra un thriller dalle venature horror piuttosto canonico ma tutti i trucchi che il regista usa per amplificare la suspense ( musiche, cigolii e gli altri rumori strani che possono popolare una casa di notte) rappresentano il diapason a cui accordare la benevolenza di uno spettatore che non sta vedendo nulla di nuovo ma quello che sta vedendo gli piace e lo appassiona.
In più c'è un colpo di scena finale che è una bella sorpresa, twist che naturalmente non starò qui a svelare.
La regia di Jaume Collet Serra è talmente brillante che permette di sorvolare  evidenti cadute di sceneggiatura: per esempio non convince l'effetto bomba atomica che ha avuto su John e Kate l'aborto della terza figlia ( la terza, non la prima!) , è piuttosto lacunosa la descrizione delle dinamiche tra i due adulti della vicenda e poi meglio sorvolare anche su alcune battute (che sembrano scritte per Stephen Seagal) che vengono pronunciate nella lotta all'ultimo sangue che caratterizza il finale.
Pure se è ambientato in un inverno freddissimo e nevosissimo è uno di quei thriller horror  che possono allietare l'afa di questa stagione.
Nulla di strabiliante ma degnissimo di una visione a neuroni spenti.

( VOTO : 6,5 / 10 ) 


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giovedì 27 giugno 2013

Killer in viaggio ( 2012 )

Tina ha una madre terribile che cerca di intromettersi in tutto quello che fa castrandone ogni ambizione , ha un terribile senso di colpa per la morte del suo cane avvenuta in circostanze grottesche e ha un ragazzo, Chris, non precisamente un Adone, che l'ha finalmente convinta a fare un giro in roulotte alla ricerca di angoli di Inghilterra curiosi e dimenticati. Ma la vacanza da idillio presto si trasforma in un viaggio nell'incubo. Chris fa venir fuori il suo lato malato e Tina lo asseconda in un percorso che pullula di cadaveri....
Chris e Tina, a cui danno vita i bravissimi Chris Oram e Alice Lowe anche autori di soggetto e sceneggiatura, sono rappresentanti della società più mediocri che medi e proprio per questo nella loro graduale trasformazione in spietati serial killer ( ma c'è una battuta in cui lui dice che comunque non è nuovo a omicidi & affini ) riescono a far esondare dallo schermo un misto di sorrisi e inquietudine.
Il sorriso scaturisce da come è girato il film , comprese le esplosioni inconsulte di violenza assassina ( all'inizio non intenzionale ma poi, come spesso succede, ci prendono quasi gusto), che sono incastonate spesso in sequenze di tenore abbastanza leggero e che poi improvvisamente si trasformano in qualcosa d'altro.
L'inquietudine nasce proprio dalla loro mediocrità conclamata, sono i classici tipi della porta accanto con un physique du role più da tappezzeria che da serial killer.
Eppure scoprono una passione malsana in quello che fanno, che serve ad eccitarli un po' in tutti i sensi.
La storia di questi due serial killer on the road però procede su binari abbastanza standardizzati , le dinamiche della coppia Chris / Tina sono piuttosto prevedibili come l'esclation di pazzia che li porterà a gesti sempre più eclatanti.
In qualche maniera lo stile sbilenco e transgenere di Ben Wheatley ( autore di un piccolo cult molto apprezzato qui a bottega intitolato Kill List di cui potete leggere qua ) sembra quasi addomesticato e ci si chiede quanto la longa manus di Edgar Wright, il deus ex machina di autentici cult da idolatrare senza compromessi come Shaun of the dead e Hot Fuzz,  in questo progetto abbia influenzato, più o meno concretamente, lo stile altrove aggressivo e senza compromessi di Wheatley, la cui virulenza  ai limiti dell'horror ( in certi frangenti anche oltre) è stata ricondotta verso lidi più adatti al grosso pubblico.
Se il road movie è il genere frammentario per eccellenza legato alla sua struttura episodica, in Killer in viaggio questa parcellizzazione del plot è amplificata ai massimi termini dando l'impressione di trovarsi di fronte ai vari episodi di una sit com un po' particolare. Di quelle che fanno ridere a denti stretti, anzi strettissimi.
Detto questo ci si diverte e si resta ammirati dalla bravura di Chris Oram e di Alice Lowe che fanno della loro assoluta normalità ( sapete? calvizie incipiente, panzetta, forme non proprio da pin up) il loro punto di forza.
Sono personaggi che all'inizio quasi si adorano perchè hanno i difetti della gente comune, di quella che non fa cinema, poi man mano che passano i minuti il processo di identificazione viene meno perchè sono degli psicopatici arrivati oltre l'ultima Thule della pazzia.
Ecco perchè Killer in viaggio ( titolo italiano come al solito spoileroso e troppo indicativo di quello che succederà, al contrario dell'originale Sightseers) è il classico film che fa sorridere ma allo stesso tempo mette anche un po' paura......
D'ora in poi guarderò diversamente chi va in giro in roulotte....

( VOTO : 7 / 10 ) 

  Sightseers (2012) on IMDb

mercoledì 26 giugno 2013

Dream Team ( 2012 )

Orbera è stato un calciatore di successo nella nazionale francese: ora è un'opinionista televisivo con la vita discretamente distrutta dall'abuso di alcool. Perde il lavoro in televisione perchè picchia selvaggiamente in diretta un giornalista e per questo rischia anche di non vedere più l'amata figlioletta. Gli viene data una via d'uscita: disintossicarsi e trovare un lavoro fisso. Miracolosamente ( ma neanche tanto) l'ancora di salvezza gli viene fornita da una squadra bretone di dilettanti che parteciperà alla Coppa di Francia. La sfida è importante economicamente per salvare il locale conservificio ma con una squadra composta da pescatori non si può fare molta strada. Orbera allora convincerà un gruppo di suoi ex colleghi, sul marciapiede per vari motivi, un po' come lui, a giocare nella sua squadra. Giusto tre mesi, il tempo necessario per arrivare al primo turno della Coppa di Francia.
Come al solito i francesi ci surclassano sul terreno preferito ( oramai pare l'unico) del cinema italiota: la commedia. Sportiva per giunta, quindi guardando anche oltreoceano e non avendo paura di confrontarsi con un genere americano per eccellenza.
Prendono un regista serio come Dahan ( al suo attivo La vie en rose e anche un prossimo biopic su Grace Kelly), un cast all star con tutti personaggi molto noti al pubblico d'oltralpe tra cinema e televisione e imbastiscono una storiella corale fatta giusto per intrattenere, senza alcuna pretesa ma che ottiene facilmente il suo scopo.
La galleria di calciatori sul marciapiede recuperati da Orbera già da sola vale il prezzo del biglietto e non è la cosa migliore del film: c'è lo psicopatico fobico malato di playstation che però si consola con un gioco anni '80 dell'Atari, c'è un portiere con velleità da attaccante che sembra un misto tra Maradona ( per via di un certo vizietto ) e Che Guevara, c'è lo stopper cattivone che spezza gambe agli avversari, c'è l'ex calciatore afflitto da problemi cardiaci (Omar Sy  ricalca fisicamente Thuram e anche la sua storia) e c'è l'ex bomber con velleità attoriali ma che è poco più di un guitto incapace di recitare una battuta che è una.
Accanto a loro il vero asso nella manica della pellicola: l'impagabile popolazione locale che fornisce l'ossatura panzuta e sbevazzona alla squadra e che garantisce il giusto contrasto con tutte queste stars metropolitane.
La vicenda è poco più di un pretesto, le gags si affidano più a una comicità fisica che alla bontà della battute ( che in realtà sono abbastanza sporadiche, si punta più al paradosso ) l'impressione è che ognuna delle celebrità convocate per questo progetto pensi più a recitare il proprio spartito che a interagire con gli altri.
Lo schema del film è risaputo: un po' commedia sociale alla Loach, un po' commedia sportiva, un po' farsa che gioca con la crisi economica, un po' gioco di contrasti tra ricconi con la puzza sotto il naso e pescatori bretoni un po' indietro anche dal punto di vista tecnologico ( cosa peraltro sottolineata dal titolo originale Les Seigneurs) .
Il risultato è di quelli dimenticabili ma intrattiene a dovere, si passa un'ora e mezza a pensare di stare a vedere un'enorme cazzata ma si continua a vederla per appurare come va a finre.
Il classico film che sotto sotto piace ma che in pubblico fa figo dire che è una schifezza.
E qui ritorniamo al confronto con la commedia italiota: perchè i francesi riescono a creare un progetto di questo tipo che non naufraga dal punto di vista qualitativo, confezionato più che decentemente mentre da noi analoghi progetti naufragano in una mesta fiera del "bbona la prima", tagliati tecnicamente con l'accetta ?
Il film naturalmente è stato un successo ai botteghini francesi e questo gli ha permesso di varcare i patri confini.
Belli i titoli di coda con figurine dei protagonisti ( anche del cast tecnico e creativo) attaccati su un album.
Che dire? Stupidino ma intrattiene , impossibile parlarne troppo male...

( VOTO : 5,5  / 10 )


Les seigneurs (2012) on IMDb

martedì 25 giugno 2013

Il garzone del macellaio ( aka The butcher boy, 1997)

Francie Brady assieme al suo migliore amico Joe sta vivendo un'infanzia di alti e bassi , tra le fantasie normali da ragazzini e una realtà sempre più difficile da vivere con padre è un musicista fallito, per giunta alcolizzato e violento oltre a una  madre con diversi problemi di natura psichiatrica. Quando la madre si suicida e Joe parte per una scuola di navigazione, Francie si ritrova solo e comincia a pensare che l'acida Mrs Nugent sia la causa di tutti i suoi mali. Tra un'apparizione della Madonna e l'altra ( Madonna che ha le fattezze di Sinead O'Connor) comincia  a fare il giro di istituti religiosi, riformatori e scuole di correzione perchè il suo comportamento sociale sta diventando sempre più bizzarro e pericoloso.
Anche perchè tutti pensano che la follia sia un male ereditario....
E' perlomeno curioso che un regista affermato anche presso il grosso pubblico come Neil Jordan abbia tutti questi problemi con la distribuzione nostrana che puntualmente maltratta i suoi film irlandesi a minor budget dopo che ha incassato soldi su soldi con molti suoi film hollywoodiani .E'addirittura delittuoso ignorare del tutto un film come questo che si è addirittura portato a casa un Orso d'Argento a Berlino. Mica pizza e fichi.
Il garzone del macellaio  probabilmente è anche uno dei suoi film migliori perchè racchiude in sè molti temi cari alla poetica jordaniana.COn il suo solito stile sbilenco a sfiorare tangenzialmente molti generi il film del regista irlandese descrive con grande creatività  un mondo in cui la favola cerca di entrare a colpi di maglio nella realtà (vedi gli alieni con testa d'insetto, l'apparizione della Madonna, l'esplosione di una bomba atomica), in cui gli adulti con la loro fissità di sguardo e di comportamenti si contrappongono ai ragazzini che con la loro fantasia riescono a smuovere montagne, un mondo in cui la vita paesana scorre sempre al medesimo ritmo con i soli scossoni dati da ragazzini ribelli allergici alle regole, un mondo in cui il cattolicesimo di facciata che lo contraddistingue copre le magagne e gli scricchiolii delle varie unioni familiari.
La figura di Francie Brady si erge maestosa:  è un ragazzino che ha una madre con seri problemi psichiatrici e un padre che si fracassa il fegato al pub. E quando il babbo torna a casa per Francie sono botte da orbi perchè queste sbornie non sono rassicuranti come quelle che di solito si vedono nei film irlandesi. Francie ha un amico,o meglio un fratello di sangue, Joe con cui inventa storie oltre il limite dell'assurdità. La madre si suicida e lui che già manifesta problemi comportamentali viene inviato in un convento a "maturare". Ma il parroco è un pò troppo lungo di mani e lui torna a casa appena in tempo per essere spedito in una specie di manicomio perchè ritengono il problema della follia ereditario. Continua a scappare ma il suo destino è quello dell'istituto di cura.
Il film di Jordan ha diverse anime e riesce a far convivere generi a prima vista antitetici. C'è un uso discretamente orginale della voce fuori campo che mantiene sempre un tono che va dall'ironia acida al sarcasmo feroce anche quando sullo schermo non vengono mostrate cose piacevoli.
Addirittura c'è una parte quasi splatter dedicata alla vendetta di Francie contro la signora Nugent che lui ha visto sempre come causa dei propri mali. Se per molti questo film poteva diventare il classico percorso formativo di un ragazzino sul limitare dell'adolescenza, nelle mani di Jordan questo diventa un nero romanzo di (de) formazione.

Sarà che il mondo ce l'ha con Francie però lui indubbiamente se le va a cercare e compie atti che gettano dubbi inquietanti sulla sua sanità mentale. 
La storia di Francie,tratta da un romanzo di Patrick Mc Cabe( che ha anche cosceneggiato)  è un pò la radice marcia da cui è nato un film come Breakfast on Pluto che ha un pò lo stesso stile di questo ma molta meno amarezza.
Un pò storia d'amicizia, un pò ritratto di un Irlanda non così turistica prigioniera dei suoi rituali atavici, un pò esplorazione mistica new age(con tanto di apparizione di Madonna canterina che ha le fattezze di Sinead O'Connor), Il garzone del macellaio è un film pienamente neiljordanesco dalla prima all'ultima sequenza.
Sempre in bilico tra dramma e commedia è la storia di un ragazzino qualunque cresciuto troppo in fretta e senza alcun principio morale e religioso.
In barba alla finta unione della sua famiglia e in barba al cattolicesimo integralista da sempre sua dottrina.
Una tragedia che si veste da black comedy. 

( VOTO : 7,5 / 10 ) 

The Butcher Boy (1997) on IMDb

lunedì 24 giugno 2013

Viva la libertà ( 2013 )

Il segretario del principale partito di sinistra, Enrico Olivieri, è colto da una crisi depressiva dal momento in cui i sondaggi lo vedono in caduta libera. Decide di fuggire di notte in Francia, a Parigi , da una sua vecchia fiamma , Danielle, ora sposata con un regista di grido e con un figlia, Helene, di 12 anni. Cerca di ritrovare se stesso o solo abbandonarsi al ricordo dell'amore più grande della sua vita, chissà...
In Italia intanto sua moglie Anna e Bottini, il suo principale collaboratore politico, decidono di "sostituirlo" pro tempore con Ernani, suo fratello gemello, fisicamente identico ma in realtà antitetico a lui in tutto e per tutto. Ernani, ex professore di filosofia che sta soggiornando in un ospedale psichiatrico, è uno spirito libero e comincia a introdurre nelle sue interviste discorsi rivoluzionari: l'arte, la bellezza, la poesia.
I potenziali elettori apprezzano e i sondaggi per le elezioni che si terranno a breve sono favorevolissimi.
Che fare? Continuare con Ernani o far ritornare Enrico?
Viva la libertà, tratto dal romanzo Il trono vuoto scritto dallo stesso regista, Roberto Andò, tratta un tema già  toccato varie volte al cinema: la follia la potere.
E lo fa delicatamente , senza troppi scossoni, in modo raffinato e rarefatto allo stesso tempo, concentrandosi soprattutto sulle debolezze umane che si nascondono dietro agli uomini di potere.
In un clima di antipolitica come quello che stiamo vivendo in questi ultimi anni , fa quasi tenerezza vedere dei politici così deboli, prigionieri del loro ruolo pubblico e dell'immagine che si sono autocuciti addosso.
Immagine che nel caso di Enrico si sta fortemente deteriorando , frutto delle solite sempiterne indecisioni di un partito molto più a suo agio all'opposizione che al governo, a causa delle proprie divisioni interne.
Naturalmente il riferimento al principale partito del centrosinistra è ben evidente, è praticamente sbattuto in faccia allo spettatore.
Ecco perchè uno che parla diverso dagli altri come Ernani rappresenta una speranza, in realtà è più un'utopia che qualcosa di concreto, perchè la gente vuol avere speranza e fiducia nel futuro, non vuole abbandonarsi al pessimismo e alla disperazione.
Vagamente surreale, Viva la libertà, riesce a mantenere un'invidiabile leggerezza pur parlando di argomenti importanti: cinema di doppelganger, risolto forse in maniera un po' troppo favolistica , che si regge sulle interpretazioni di un cast spendibile a livello internazionale , un po' come il film, raro esempio di cinema italiano che può essere esportato con una qualche speranza di successo.
In primo piano c'è naturalmente Toni Servillo( nel doppio ruolo di Enrico/Ernani) : attore dotato di tecnica sopraffina ma che a furia di sentirsi dire che è bravo sta cominciando ad esagerare con gli arzigogoli che inserisce nel suo modo di recitare.
Sembra quasi che a ogni sequenza ammicchi allo spettatore dicendogli " Guarda come sono bravo , che cosa sono capace di fare". Comincia a starmi un po' sui cosiddetti per questa sua arroganza recitativa.Però è schifosamente bravo.
Non colpisce a sufficienza Valeria Bruni Tedeschi ( Danielle), poverina penalizzata da una voce che è una vera e propria croce e incapace di recitare in modo leggero e spensierato( veramente brutta per come è forzata la sequenza in cui canta in macchina con Servillo, in generale non sembra esserci l'alchimia giusta tra loro due).
A conti fatti il migliore risulta Mastandrea, nella parte dell'incolore Bottini, oramai specializzato nel recitare parti sotto le righe,bravissimo a modulare la sua verve , quasi mettendole la sordina.
Viva la libertà racconta anche di un parallelo tra cinema e politica ( vedere lo stralcio di intervista a Fellini) oltre a giocare con una realtà difficile da raccontare senza incupirsi.
E' una favola in cui finalmente la pazzia  , nel senso buono del termine, va al potere.
Si può vivere benissimo senza farmaci per controllare il proprio umore e proprio grazie a questo sparare pillole di saggezza a getto continuo.
Viva la follia!

( VOTO : 7 / 10 ) 

Viva la libertà (2013) on IMDb

domenica 23 giugno 2013

Fast & Furious 5 ( 2011 )

Dom Toretto, arrestato al termine del capitolo precedente, evade in modo rocamblesco durante un trasferimento da una prigione all'altra. Lo aiuta Brian assieme a Mia, sorella di Dom.Vanno a vivere a Rio de Janeiro per sfuggire alla polizia americana ma anche lì trovano il modo di ficcarsi nei guai. Rubano delle auto a Reyes,un potente boss del narcotraffico che fa di tutto per riaverle indietro ( una contiene un chip con tutti i luoghi di consegna della droga) e intanto entra in scena l'agente della DEA Hobbs che è sulle tracce della banda che dal canto suo ha deciso di fare una megarapina ai danni del succitato Reyes. Svicolando tra narcos e poliziotti, dando luogo anche a un improbabile alleanza, la rapina verrà organizzata nei minimi particolari....
C'era una volta una specie di tamarro di quartiere, pelato, con il collo alla Tyson e quell'espressione un po' così, con un cognome motoristico ( anche se non molto fast...) che era diventato famoso con un filmetto girato con due soldi ( come si chiamava?...ah si The Fast & The Furious nel 2001) e che poi dopo tutta una serie di film tamarri o peggio del succitato, aveva deciso di sputare nel piatto in cui aveva sempre mangiato e voler diventare un grande attore cimentandosi nella commedia e recitando addirittura per  Lumet ( una prova sorprendente e non sapete quanta fatica faccio a dirlo...).
Ma il pubblico non capì, gli incassi latitarono e il dimenticatoio ingoiò presto il malcapitato attore dal collo taurino e la crapa pelata.
Poi un produttore lungimirante pensò di recuperare tutte le "parti originali" del progetto iniziale e il successo di nuovo arrise al nostro eroe.
Scommettiamo che ora anche se gli proponessero un Fast & Furious ambientato tra la Luna e Marte accetterebbe a occhi chiusi? Anche se fosse fantascienza?
A dire la verità in Fast & Furious 5 non siamo troppo lontani dai viaggi interplanetari: potevano stupirci con effetti speciali e ce l'hanno proprio fatta perchè loro sono fantascienza non scienza.
L'acceleratore è pigiato a palla , quasi ci avessero messo un mattone sopra per far andare il film sempre a tavoletta e oltre, l'elenco di macchine mostrato è degno di una fiera dell'automobile ( e sono tutte bellissime!), anche il livello delle maestranze femminili è salito di parecchio , giusto per alimentare il dualismo donne & motori ma senza troppi dolori perchè nonostante gli incidenti a cui vanno incontro i nostri eroi non si fanno nemmeno un graffio, e oltre agli onnipresenti inseguimenti ( con addirittura una cassaforte di varie tonnellate portata tranquillamente a spasso per le strade di Rio) , ci sono anche molte sequenze di action pura in cui le macchine sono ferme e invece di far cantare i motori sono i mitragliatori automatici a intonare la loro ritmica melodia di piombo.
Insomma Fast & Furious 5 è il film del consolidamento del brand e della certezza della direzione da seguire: si va verso l'iperbole badando solo allo spettacolo e chissenfrega se quello che si vede è fantascienza.
Il pubblico ha gradito molto: del resto uno come Vin Diesel al cinema è fatto per spaccare culi e non per recitare Shakespeare. E vuoi mettere la new entry di un altro spaccatore di culi professionista come The Rock? Sembra il fratello deperito di quello visto nel sesto capitolo ( letteralmente debordante, così gonfio che la maglietta che indossava sembrava un tatuaggio non un capo di vestiario) ma lo stesso a suo confronto uno come Vin Diesel sembra rachitico.
La loro lunga , omerica , scazzottata piazzata a metà film è uno dei punti clou della pellicola.
Ah, un'altra cosa: la famiglia.
Fast & Furious 5 è il film del consolidamento del nucleo familiare: che bella questa famigliola!

(VOTO : 7+ / 10 )

  Fast Five (2011) on IMDb

sabato 22 giugno 2013

La migliore offerta ( 2013 )

La vita di Virgil Oldman, affermato battitore d'asta, scorre sempre uguale a se stessa tra pasti al ristorante in solitaria, preparazione maniacale delle aste a cui deve presenziare e una sottile ma ben percepibile difficoltà a relazionarsi alle persone , testimoniata anche da guanti che indossa sempre quasi a voler negare qualsiasi contatto fisico con altre persone. Virgil vive per l'arte e per la sua collezione di quadri che ha raccolto in anni e anni di ricerche. Una collezione racchiusa in una stanza segreta in cui spesso si va a rinchiudere per ore e ore solo per respirarne l'aria.Un giorno la sua routine viene sconvolta dalla telefonata di una misteriosa ereditiera che gli vuole far valutare la propria collezione di antiquariato per organizzare una vendita. La giovane non si fa vedere e forse proprio per questo entra nelle grazie del ritroso Oldman, fino al momento in cui  i due troveranno il modo di relazionarsi....
Noi fruitori di cinema italiano passiamo tutto l'anno a lamentarci e a moccolare per la povertà conclamata del cinema italiano e poi ti esce un Tornatore che sembra creato apposta per nascondere i problemi del nostro panorama cinematografico.
Ma è la classica rondine che non fa primavera.
Vedendo La migliore offerta ci si rende conto che se , supportato da adeguati mezzi, il nostro cinema può ancora ambire a un posto di rilievo nella scena internazionale.
Perchè sembra tutto fuorchè un film italiano: certo, il cast internazionale, le locations "esotiche", il fatto che sia girato in lingua inglese sono tutte componenti che mischiano un po' le carte , ma La migliore offerta è cinema italiano a tutti gli effetti. Esportabile, internazionale, qualcosa a cui in Italia possono ambire pochissimi: Moretti, Garrone, Sorrentino, Bertolucci e Tornatore appunto.
Il quale , dal canto suo, gira molto all'americana ma nel senso classico del termine: i movimenti di macchina sono sempre piuttosto elaborati quasi a toccare il manierismo, la costruzione dell'inquadratura è maniacale, anche il modo di recitare di Rush in un personaggio che dovrebbe essere molto sotto le righe, è invece ricco di sfumature e di tecnicismi a volte anche fin troppo evidenti ( si veda la parte iniziale in cui il nostro si "esibisce" in un'asta con la testa che va velocemente a destra e sinistra quasi fosse quella di un tacchino).
La migliore offerta è cinema sofisticato, ben ambientato, ha quell'aspetto ricco e raffinato che in massima parte manca ai nostri prodotti.
Per questo gli si perdonano anche delle sbavature o la pretesa di essere autoriale a tutti i costi che avrebbe potuto facilmente trasformarsi in una zavorra insostenibile : il problema principale è quello che già a partire da metà film , o forse anche prima, si intuisce dove vada a parare tutta la vicenda.
Virgil in questo senso è un bersaglio un po' troppo facile, altamente suggestionabile, il classico uomo meno che mediocre che fa leva sulla sua posizione sociale per manipolare gli altri a suo piacimento. Niente di più facile che tutto gli si rivolti contro in una sorta di contrappasso dantesco.
E se la prevedibilità della vicenda può essere un limite del film, il gusto registico di Tornatore permette di non curarsene troppo , trascinati come si è da questi ambienti polverosi carichi di mistero e dalla chimera dell'amore impossibile a cui si abbandona Virgil.
Tra suggestioni hitchcockiane e reminiscenze da giallo italiano anni '70 ( il personaggio di Claire, la nana che snocciola una mole impressionante di dati matematici), Peppuccio Tornatore ripercorre , a modo suo, la strada del cinema di genere che gli aveva già portato fortuna con un altro suo thriller di ambientazione mittleuropea, quel La sconosciuta che ne aveva riportato in auge la stella un po' offuscata.

( VOTO : 7,5 / 10 ) 


The Best Offer (2013) on IMDb

venerdì 21 giugno 2013

Star Trek: Into Darkness ( 2013 )

Dopo un prologo in cui il comandante Kirk per salvare Spock calpesta un po' tutte le regole di sicurezza, i due vengono separati perchè insieme fanno danni e al comandante ribelle viene addirittura tolto il comando dell'Enterprise.
Ma quando Harrison ( alias Khan, nome storico della saga) un ex ufficiale della Federazione dopo aver compiuto un attentato a Londra, attacca direttamente il centro di comando in cui sono riuniti tutti i capi, Kirk viene richiamato all'opera col fido Spock. La sua sarà una partita a scacchi con il subdolo Khan. In palio la salvezza di tutto.
Ho letto da qualche parte che il mondo si divide in fans di Star Trek e appassionati di Guerre Stellari.
Io invece adoravo ( e adoro tuttora, ogni tanto rispolvero i dvd e li inserisco nel lettore per farmi prendere un attacco di nostalgia) Spazio 1999 che doveva essere la risposta europea allo Star Trek televisivo, una serie che , ammetto di non aver mai conosciuto in profondità.
Il mio rimpianto più grande è che Spazio 1999 non ha mai avuto lo sbocco cinematografico che avrebbe meritato ma forse è anche meglio così, può darsi anche che una versione cinematografica della serie italo-inglese avrebbe stropicciato quell'alone di mito che lo ha sempre circondato.
Sarò anomalo ma conosco meglio i film incentrati su Star Trek che non la serie: e devo dire che non li ho amati in maniera così spassionata. Così quando il re Mida della tv americana JJ Abrams se ne è uscito con un reboot di tutto il brand l'ho accolto più che altro con curiosità e non con trepidazione.
Esame passato senza problemi, la rilettura in chiave teen del mondo di Trek con quel mix tra azione, effetti speciali e ironia ha dato un nuovo impulso a un brand che sia in tv che al cinema aveva perso gran parte del suo appeal.
Con Star Trek :Into Darkness ( da geni il titolo italiano in confronto all'originale Into Darkness: Star Trek...ma perchè?, perchè? PERCHE'?) la ricetta è la stessa, arricchita dalla terza dimensione, in verità abbastanza pleonastica e da un cattivo nuovo di zecca che in realtà è un riciclo di lusso , attualizzato e impomatato a cui Benedict Cumberbatch dona carne, muscoli e voce.
E' senza dubbio lui la cosa migliore del film: gioca a rimpiattino con Kirk e Spock, è subdolo eppure affascinante, spietato nel suo calcolare tutto al millesimo, quasi ci si stupisce che i due fratelli/coltelli riescano a tenergli testa. Khan ha una personalità troppo grande e schiacciante in confronto ai due implumi eroi che divorerbbe a colazione senza problemi con tuta e orecchie pizzute.
Eppure nel mondo del cinema , l'eroe vince sempre o quasi. Tutto dipende dal prezzo da pagare.
Ammettiamolo: se non ci fosse Harrison/Khan che riesce a calamitare l'attenzione, Star Trek : Into Darkness non sarebbe un gran film, neanche medio.
 Sicuramente ben confezionato con tutta la fotografia, la musica e gli effetti speciali al posto giusto ma non dotato di una sceneggiatura adeguata e con due protagonisti che sono simpatici come un gatto che ti affonda le unghie nei marroni facendo le fusa perchè si sta divertendo un mondo.
Ci sono poi dei momenti insostenibili che mi hanno fatto quasi venire voglia di alzarmi e andarmene: il cameo di un Nimoy ormai al limite delle forze ( e lasciatelo in pace 'sto povero vecchio, no? è stato perseguitato per una vita da quel personaggio, ora glielo fate fare anche quando è in pensione da un pezzo nella serenità del suo ospizio dorato?) e la scena di Kirk e Spock che dalle parti opposte del vetro uniscono le loro mani. Neanche Cameron in Titanic aveva fatto una cosa così sporca.
Altra cosa che mi è sfuggita per gran parte del film è la logica di alcuni passaggi: si parte da un  vulcano che se eruttasse distruggerebbe un intero pianeta ( ma perchè ? l'Etna erutta in continuazione e noi siamo ancora tutti qui..) a tutta una serie di cosette tecniche sull'Enterprise che ho capito poco ma del resto non sono ingegnere...ma a naso mi son sembrate delle enormi cazzate.
Ah dimenticavo : c'è pure Simon Pegg in versione quasi mora che dovrebbe essere la macchietta comica del film che ogni tanto compare per fare scoppiare la risata...riuscendoci a fasi alterne.
Come ho spiegato non sono un integralista di Star Trek e quindi non saprei dire se questo film sia offensivo o meno per i puristi della saga: a me è sembrato un film con un target medioadolescenziale, mediamente scemo ( o mediamente intelligente , a piacere) che contiene tutti i pregi e i difetti della premiata ditta Abrams/Lindelof (che ha sceneggiato il film assieme a Roberto Orci e  ad Alex Kurtzman): tanto fumo, un senso dello spettacolo che tiene nonostante tutto, poco arrosto.
Nel senso che siamo di fronte a un filmetto piacevole che fa passare due ore senza troppi pensieri e con i neuroni messi a nanna, un classico popcorn movie che magari si assapora anche con un po' della cosiddetta guilty pleasure.
Una cazzatella che ci può stare benissimo in un'afosa serata estiva.

( VOTO : 6 / 10 )

Star Trek Into Darkness (2013) on IMDb

giovedì 20 giugno 2013

V/H/S/2 ( 2013 )

Il primo V/H/S era stato una ventata di novità nel panorama horror odierno: usato la tecnica ormai abusata del mockumentary e del found footage si era distinto per essere la prima antologia ad episodi realizzata con quelle famigerate tecniche e invece di guadagnarsi improperi e contumelie, almeno da parte mia , mi aveva fornito due ore di goduria suina, tra alti e bassi, ma soprattutto alti.
Vedere questo V/H/S/2 da una parte fa un po' paura perchè si è perfettamente consci che è sparito l'effetto sorpresa e il tutto potrebbe essere stato dato in pasto al pubblico famelico solo per esigenze di pagnotta  non per ispirazione, d'altra parte se nel primo episodio solo la presenza di Ti West faceva venire l'acquolina in bocca, stavolta i nomi già segnati sul taccuino sono anche di più, quindi la scialorrea è garantita.
Così come è elevato il rischio di delusione.
Diciamolo subito, a scanso di equivoci. La goduria suina garantita dal primo capitolo ritorna qui se possibile amplificata anche se distribuita in modo meno soddisfacente rispetto al precedente film. Se nel primo V/H/S l'effetto sopresa permetteva di sorvolare sulla debolezza di alcuni segmenti, in questo secondo ci sono due assolute perle e tre episodi piuttosto perdibili. Ma  c'è come una consapevolezza maggiore nell'uso del mezzo espressivo. Se alcuni episodi del capitolo precedente apparivano decisamente sperimentali nel loro essere pionieristici, qui il tutto appare tecnicamente molto più centrato ed elaborato.
Il film è strutturato esattamente come il precedente con un episodio cornice che racchiude tutti gli altri che sono contenuti in videocassette che sono visionate dalla coprotagonista del segmento da cui originano gli altri.Partiamo allora con la disamina dei singoli episodi:
1 ) Tape 56 (di Simon Barrett) : è l'episodio cornice. Due investigatori privati dopo aver pedinato un uomo nell'atto di cornificare la moglie , devono trovare un ragazzo sparito da un paio di settimane senza che la polizia abbia fatto nulla per ritrovarlo. Arrivano a una casa che è il suo presunto nascondiglio e in una sala piena di schermi e di videocassette vedono filmati del ragazzo assieme ai vari segmenti di cui si compone il film. Ma per i due la sorpresa è in agguato e non sarà tanto piacevole. Tape 56 è l'episodio meno convincente del film , come cornice era molto meglio il Tape 49 del film precedente. Qui non c'è nulla di nuovo, una rimasticatura stanca di suggestioni stantie e anche la sorpresa che i due trovano nella casa non aggiunge nulla di nulla. Bocciato. ( VOTO : 5 /10 ) .
2) Phase I Clinical Trials ( di Adam Wingard). Wingard era il regista di Tape 49 e qui ritorna sia dietro che davanti la macchina da presa. Dopo aver perso un occhio in un incidente , un uomo se ne fa impiantare uno bionico. Il problema è che se con quell'occhio che elabora continuamente dati somiglierà a una specie di Terminator o a L'uomo da sei milioni di dollari, è anche vero che subirà un piccolo effetto collaterale. Vede anche tutte entità spiritiche cattivissime che sembrano divertirsi un mondo a mettergli paura e a rovinargli la vita.E una tizia piombata a casa sua gli spiega che è tutto normale. Boh, sarà... Se l'incipit è valido poi il susseguirsi di spaventi risulta abbastanza meccanico e anche il finale ( ATTENZIONE SPOILER: con il protagonista che si strappa quel dannato occhio) è abbastanza prevedibile. Peccato , parte bene ma poi si arena strada facendo ( VOTO : 5,5 /10 ) .
3) A Ride In The Park ( di Gregg Hale ed Eduardo Sanchez) Gregg Hale è un nome per me sconosciuto ma Eduardo Sanchez è uno dei registi di The Blair Witch Project e del piacevole Lovely Molly, anche quello girato con una tecnica abbastanza ibrida. Qui siamo al found footage ai massimi livelli: una coppia di cicloamatori ( con lui che ha una telecamera montata sul caschetto) in pedalata in un parco trovano quello che sembra un cadavere. Si avvicinano e il presunto cadavere morde il ciclista che da lì a poco si trasformerà in zombi. E vedremo la mattanza in soggettiva: lo zombie si comporta da zombie, attacca umani , ne mangia le carni, prende anche parecchie mazzate e non fa una bella fine. Sembra anche che ci sia un substrato ironico in una storia in cui volano letteralmente sangue e frattaglie.
Per quanto riguarda la goduria suina di cui si parlava all'inizio qui siamo quasi a livelli massimi: la storia non sembra essere nuova ma il modo in cui è girata la rende accattivante e originale . Quasi ti dispiace che finisca così presto. Assieme a Safe Heaven è l'episodio migliore. ( VOTO : 8 / 10 ).
4) Safe Heaven ( di Gareth Evans e Timo Tjahjanto). E qui siamo proprio all'università del found footage . Assieme all'episodio precedente è decisamente il vertice del film, si arriva a un livello a cui nessun episodio del primo V/H/S era arrivato. Del resto i nomi dei registi fanno venire l'acquolina in bocca: Gareth Evans, gallese trapiantato in Indonesia dove ha dato alle stampe quel cult che risponde al nome di The Raid : Redemption , dirige questo episodio assieme al suo amicone Timo Tjahjanto autore di un episodio nella megaantologia horror The ABCs of Death ( Libido uno dei migliori , senz'altro il più malato) e coregista di un altro piccolo cult che risponde al nome di Macabre ( la cui recensione la trovate qui). Si narra la storia di un giornalista con la sua piccola troupe che ottiene la possibilità di intervistare una specie di guru religioso molto discusso proprio all'interno di quello che è il suo santuario. Safe heaven fa respirare orrore vero prima a livello di atmosfera perchè quando il guru spiega come è strutturata la vita nel suo santuario e le regole della sua religione  corrono i brividi lungo la schiena. Poi da una semplice suggestione si passa direttamente alle secchiate di sangue e alla violenza inaudita che non risparmia niente e nessuno, spettatore compreso.
Peccato per la creaturona capronica che appare nel finale, avrei preferito farne a meno, bastava già quello che si era visto in precedenza. Qui siamo all'eccellenza del found footage; guardando in giro difficile trovare di meglio. ( VOTO : 8 / 10 )
5) Slumber Party Alien Invasion ( di Jason Eisener) Anche Eisener ha diretto un episodio in The ABCs of Death ( Y for Youngbuck, francamente non dei migliori) e qui si lancia in un incontro umani /alieni. E' come se il solito gruppetto di ragazzi decerebrati da slasher movie incontrasse gli alieni che però invece di essere inoffensivi come quelli di Spielberg sembrano le creature già viste in The Descent di Neil Marshall. Anche qui niente di nuovo: gran ritmo, Eisener la butta abbastanza in caciara sia per mascherare la povertà produttiva sia per rendere più ansiogeno il tutto ma il risultato, pur decente, rimane abbastanza nella media e lontano dall'eccellenza.( VOTO 6 / 10 ) .
Facendo una media aritmetica , l'operazione V/H/S/2 è da promuovere ampiamente: e se anche fosse stata infestata di episodi mediocri ( in realtà ce n'è uno solo mediocre) contiene al suo interno due gioielli luminosi che da soli valgono il cosiddetto prezzo del biglietto.
Chissà se al prossima volta dal supporto magnetico si passerà al digitale...ma vuoi mettere il fascino della buona , vecchia videocassetta?
Comunque ben vengano queste antologie che permettono di conoscere nomi e talenti nuovi...

( VOTO : 6,5 / 10 )


V/H/S/2 (2013) on IMDb

mercoledì 19 giugno 2013

Paulette ( 2012 )

Paulette è vedova da diverso tempo e vive in un casermone della periferia di Parigi, proprio in mezzo alla banlieue . E' povera, la pensione non le basta, le bollette arretrate da pagare aumentano ogni giorno di più, il rapporto con la figlia è teso ( eufemisticamente parlando) a causa del genero che ha l'unica colpa di essere nero e anche col nipote le cose non vanno tanto.Paulette è addirittura costretta a rovistare nei cassonetti per procurarsi del cibo, finchè non ha un'idea luminosa: perchè non mettersi a spacciare droga, lei che è un'insospettabile nonnetta? E che problema c'è se il genero , che è poliziotto, sta indagando sugli spacciatori che infestano la zona in cui vive la suocera? 
All'inizio son problemi ma poi il business , grazie ad alcune brillanti, nonchè casuali idee di marketing , progredisce inesorabilmente...
Da qualche anno a questa parte la crisi economica globale ha condizionato la vita di parecchi: e pare che è diventata un fertile terreno di ispirazione per gli sceneggiatori che ne stanno scrivendo a tutte le latitudini.
Paulette è la classica commedia, mediamente immorale , che è figlia della crisi. Se è vero che il cinema in qualche modo riesce sempre a raccontare la società, allora il film di Jerome Enrico, ispirato non si sa quanto a una storia vera, è lo specchio di una difficoltà sempre crescente in strati sempre più ampi della popolazione,
E racconta un modo un po' creativo per uscirne.
Paulette è una sorta di Grace ( dell'omonime erba di un famoso film inglese ) della banlieue parigina ma a differenza della sorellastra inglese è quanto di più lontano dalla simpatia che può ispirare una vecchina in difficoltà in tutti i sensi come lei.
E' arrogante, proterva, razzista, prevaricatrice, cerca sempre la furbata per ottenere quello che vuole( ma alla fine è sempre una guerra tra poveri).
Ispira istintiva antipatia un po' come uno Scrooge dickensiano.
Anche se è chiaro da subito che sotto quella scorza all'apparenza inscalfibile,è nascosto un cuore di panna....
E anche quando entra nelle grazie dello spacciatore a cui riesce a smerciare kili e kili di roba, non cambia per niente.
Eppure la parabola di "Nonna spinello", come viene affettuosamente chiamata dai suoi clienti, è abbastanza incline allo stereotipo, al cinema ne abbiamo visti tanti di spacciatori improbabili e di torte alla marijuana che provocano effetti "simpatici".
Il film di Enrico però non si ferma qui e comunque vuole veicolare un messaggio seppur nascosto dietro una narrazione dal ritmo sostenutissimo e con l'ausilio di  situazioni che spesso vanno oltre il limite dell'assurdo: la placida, si fa per dire, vecchietta si accorge che  quanto più si impegna nel business tanto più è consapevole di vivere una vita sbagliata.
E così la media immoralità di cui sopra (  media perchè Paulette spaccia hashish che sembra quasi un prodotto medicamentoso e poi i suoi clienti sembrano tutti sballoni simpatici ) diventa moralismo in un film che veicola un messaggio di coesione sociale e non quello dell' incattivimento xenofobo legato alla povertà di cui Paulette era protagonista all'inizio.
La protagonista , Bernadette Lafont , riempie da sola tutta la scena  ben coadiuvata da un coro di personaggi secondari tratteggiati sbrigativamente ma decisamente adatti per mettere carburante nel motore comico del film.
Perchè questo è un film che fa ridere e anche parecchio. Fa ridere della crisi e delle difficoltà che viviamo ogni santo giorno.
Il guaio è che dopo un'ora e mezza scarsa finisce: dopo aver riso di gusto si esce dal cinema col sorriso a increspare le labbra e come per un incantesimo malefico ci si accorge che c'è ben poco da ridere.
Ma almeno per un'ora e mezza abbiamo dimenticato.

( VOTO : 7 / 10 )


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martedì 18 giugno 2013

Peppermint Candy ( 1999)

Yong Ho , quarantenne un tempo di successo, partecipa a una riunione di vecchi compagni di scuola in riva la fiume Han e comincia a dare in escandescenze. Arrivato alla vicina ferrovia si mette in mezzo ai binari e mentre sta arrivando il treno urla che vuole tornare indietro.
E il film lo fa: in una serie di successivi flashback partendo da episodi più recenti della vita di Yong Ho fino ad arrivare al 1979, anno di un'analoga riunione degli stessi studenti sempre nello stesso posto in riva al foume Han, Peppermint candy narra venti anni della vita del protagonista ma soprattutto l'ultimo ventennio di storia coreana.
Ci sono diverse cose che colpiscono di Peppermint candy, tassello di bellezza cristallina da inserire nella carriera luminosa del grande Lee Chang Dong.
La prima cosa che salta all'occhio prima delle altre è il modo in cui viene gestita la scansione temporale. Il film è narrato all'indietro diviso in vari capitoli, ognuno col proprio titolo, che partono dal 1999 e finiscono nel 1979. Gli ultimi due capitoli sono speculari in quanto si tratta in entrambi i casi di una gita al fiume Han di un gruppo di amici, una classe scolastica ripresa ai tempi felici della scuola e venti anni dopo con un tono più malinconico per il tempo che è passato e ha lasciato il suo segno e per la tragedia che incombe.
Infatti uno di loro, Yong ho, si mette sulle rotaie in attesa che un treno lo investa.
Il film comincia proprio dalla sua fine e ci svela capitolo dopo capitolo la sua triste vicenda.E con la sua storia Lee Chang Dong narra la storia della Corea alla faticosa ricerca di una vera democrazia.
La vita di Yong Ho procede all'indietro sul filo della memoria in una sorta di recherche proustiana. L'uomo che troviamo all'inizio del film è confuso, annichilito dalla vita e dalle delusioni, un uomo sconfitto e disperato. Quello che troviamo alla fine del film è un giovane pieno di speranze che procedendo col tempo ha modo di sporcarsi mani e coscienza con atti deprecabili vestendo i panni del tutore della legge e non disdegnando i metodi forti del regime.
La divisione in capitoli è visivamente segnalata dalla sequenza presa da una coda di un treno che va all'indietro. In realtà se si guardano solo le rotaie c'è l'illusione di andare avanti ma a lato delle rotaie le automobili, le persone, gli animali che si stanno muovendo lo fanno all'indietro rivelando questo piccolo artificio.

 Accanto a questa sequenza ci sono un altri fil rouges emotivi che ci accompagnano per tutto il film: l'amore straziante e martoriato con Sun-Im (l'unica donna di cui Yong Ho si sia mai innamorato anche se quando ha avuto occasione lui non ha esitato ad umiliarla e quindi lei ha sposato un altro), le caramelle alla menta piperita del titolo che ritroviamo costantemente e un altro simbolo della memoria del protagonista cioè una macchina fotografica che le ha fatto avere Sun Im attraverso il marito ( lei è in ospedale malata terminale).
In realtà il simbolo della memoria è il rullino in essa contenuto ma Yong Ho rifiuta di riaprire le ferite del passato.Il film di Lee Chang Dong  oltre a narrare una storia d'amore infelice è un imponente affresco storico in cui si passa dal regime autoritario alle rivolte studentesche e  al capitalismo selvaggio per poi tornare praticamente al punto di partenza tirando idealmente le somme. 
Yong Ho è il paradigma dell'uomo sconfitto,schiacciato dagli eventi specchio di una nazione che faticosamente sta cercando la propria strada.
Peppermint candy è un connubio esaltante tra forma e sostanza, tra bellezza ed emozione, tra armonia e dolore lancinante, un melodramma di straordinaria intensità con un protagonista capace di incarnare un vasto spettro di emozioni con grande naturalezza.
Nell'ultima parte del film, quella in cui è una sorta di paria alla ricerca del suo infausto destino Kyung-gu Sol che intepreta la parte di Yong Ho è di bravura abbagliante. 

( VOTO : 9 / 10 ) 


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lunedì 17 giugno 2013

Una ragazza a Las Vegas ( 2012

Beth, ragazza senza troppe prospettive, tira su qualche soldo facendo spettacolini di spogliarello, lap dance et similia a domicilio. La realtà di Tallassee , Florida, però, le sta un po' troppo stretta e lei si trasferisce a Las Vegas per diventare cameriera ( ! ) in uno dei cocktail bar della capitale del vizio. Un paio di persone conosciute lì le presentano Dink, una specie di allibratore che si muove tra le pieghe della legge, con la sua agenzia di scommesse. Beth è brava coi numeri e il lavoro che le ha offerto Dink sembra perfetto per lei. E anche con Dink c'è una certa intesa che va oltre la professione. Ma Tulip, la moglie di Dink, è folle di gelosia e arriva a intimare al marito una scelta: o lei o Beth.
Intanto Beth conosce Jeremy , giovane giornalista e si trasferisce da lui a New York, Ma presto si ficca nei guai, cioè in un giro di scommesse illegali in cui coinvolge anche Dink....
Tratto da una storia vera, Una ragazza a Las Vegas (il solito titolo obbrobrio ben diverso dall'originale Lay the Favourite che si riferisce al mondo delle scommesse ma anche alla relazione tra i vari personaggi ) sancisce il ritorno alla trasferta americana di Stephen Frears, regista di film memorabili sia al di qua che al di là dell'oceano.
Ma stavolta c'è qualcosa che non va: se già nell'intrigo amoroso ambientato nella campagna inglese che caratterizzava Tamara Drewe si avvertiva qualche scricchiolio, qui è tutto amplificato in una commedia ( che non fa ridere) che spreca malamente un cast all star impegnato a dar vita a personaggi piatti e senza un briciolo di approfondimento psicologico.
Tutto è affidato alle grazie, anzi ai femori da fenicottero rosa  di Rebecca Hall mostrati generosamente per tutto il film visto che va in giro sempre con shorts o gonne inguinali, che , poverina , ce la mette tutta per caricarsi sulle spalle il film ma in realtà c'è poco da caricare...e le sue spalle sono ancora estremamente gracili.
Se in questo genere di operazioni quello che conta è il coro di caratteristi attorno ai protagonisti qui a livello di nome siamo messi piuttosto bene ma i risultati latitano.
Bruce Willis al minimo sindacale delle espressioni è per giunta  abbigliato in modo ridicolo ( no, ti prego, non si può vedere Bruce, a cui ci voglio sempre un sacco di bene, abbigliato con camicia hawaiana ,pantaloncini e calzettoni bianchi fin quasi al ginocchio) mentre la Zeta Jones , imparruccata come non mai, dà vita a un personaggio oltre i limiti della caricatura.
Sarà una questione di aspettative ma Una ragazza a Las Vegas è una delusione cocente su tutti i fronti: da uno come Frears si attendono osservazioni argute, magari anche la presa in giro degli stereotipi americani da uno come lui che più inglese non si può, ci si aspetta qualcosa di meglio che la solita, stupida commedia americana incentrata sull'ennesima versione dell'American Dream.
Elettroencefalogramma piatto in quasi tutti i personaggi, un intrigo che procede a strappi con accelerazioni violente inframezzate a lunghi momenti in cui la noia la fa da padrona, una pochezza di fondo ben percepibile che lo spiccio ed efficiente professionismo di Frears non riesce a nascondere.
La cosa migliore del film è il twist scatenato che ballano tutti i personaggi principali sui titoli di coda: e ho detto tutto.

( VOTO : 4,5 / 10 )


  Lay the Favorite (2012) on IMDb

domenica 16 giugno 2013

The Butterfly Room - La stanza delle farfalle ( 2012 )

Alice, ragazzina furbetta molto più cresciuta della sua età riesce con una scusa a farsi prestare del denaro da una vecchia signora all'apparenza un po' svagata, Ann. Con la scusa di restituirle i soldi la ragazza va a trovarla a casa e cominciano uno strano rapporto di mutua dipendenza. Alice si fa dare soldi da Ann e la vecchia signora sola la tratta come una figlia, un po' troppo morbosamente però. Quando scopre che la ragazza sta facendo anche con altre persone quello che fa con lei , il passato oscuro di Ann viene fuori e si traduce in una serie di brutali omicidi. Intanto Julie, la bambina che vive alla porta accanto, figlia di genitori divorziati e quindi lasciata un po' a se stessa, comincia a essere attratta da Ann e dalla sua collezione di farfalle contenute all'interno di una stanza segreta della sua casa...
Venuta a conoscenza di tutto,  Dorothy, la figlia di Ann , cerca di fermare la madre prima che sia troppo tardi...
Fa piacere vedere un prodotto italiano di genere che ce la fa a essere distribuito in sala, seppur limitatamente nel solito pugnetto di copie.
E vedere un film come The Butterfly Room-La stanza delle farfalle fa uno strano effetto per vari motivi: il primo è che è un horror italiano, per giunta tutto al femminile, mascherato da prodotto americano professionale, realizzato a Los Angeles e recitato in inglese ( è una coproduzione italoamericana, come ai vecchi tempi di quando la Hollywood sul Tevere e quella losangelina andavano a braccetto).
Il secondo motivo è che fa uno strano effetto rivedere dopo tanti anni in una parte da protagonista una delle prime scream queens del cinema horror italiano: quella Barbara Steele impressa a fuoco nella memoria del cinefilo grazie ai suoi occhi immensi che ancora brillano a tanti anni di distanza.
Il terzo motivo è che il film di Zarantonello è ostentatamente vintage richiamandosi ai gialli/horror italiani anni '70 andando a chiudere un cerchio che neanche uno come Dario Argento, perso ormai in produzioni di pessimo livello, è riuscito a fare in questi ultimi anni.
Altra curiosità che si riscontra nel film , cosa di cui si accorgeranno i puristi del genere, è la presenza di un inaspettato coacervo di scream queens un po' di tutte le generazioni: oltre alla succitata Steele, abbiamo Heather Langenkamp, protagonista di molti film della saga di Nightmare di craveniana memoria,Camille Keaton, indimenticata protagonista di un cult anni '70 come Non violentate Jennifer ( The day of the woman), PJ Soles ( Carrie di De Palma e Halloween di Carpenter nel suo corposo curriculum ),Adrienne King ( qualche film della saga di Venerdì 13 al suo attivo) fino ad arrivare a Erica Leerhsen che si sta distinguendo in horror della nuova generazione come Wrong Turn 2 o il Non aprite quella porta del 2003.
Non tutto fila liscio ma Zarantonello si dimostra regista intelligente e capace non riducendo il suo film a mero citazionismo, centra l'atmosfera mefitica che si respira nella casa di Ann e soprattutto centra il personaggio di Alice a cui Julia Putnam dona la sua bellezza inquietante.
Il rapporto morboso che si viene a creare tra lei e Ann probabilmente è la cosa migliore del film.
Per il resto il film con il suo look anni '70/'80 appare come un qualcosa di anomalo in una scena horror plastificata come quella odierna perchè cerca di privilegiare l'atmosfera e non le secchiate di sangue  in computer grafica.
I limiti di budget sono evidenti, qualche personaggio secondario non recita come il dio del cinema comanda ma complessivamente il film funziona , perlomeno dona un'ora e mezza di intrattenimento senza troppi problemi.
In fondo si è quasi costretti a guardare con una certa benevolenza un film italiano che gioca a fare l'americano con tanta tenacia e che , a conti fatti , si dimostra più argentiano degli ultimi film del regista romano.
Anzi è molto meglio degli ultimi film di Argento e crea quasi un effetto nostalgia verso il nostro defunto cinema di genere che nei decenni passati ci ha regalato tante perle indimenticate e indimenticabili.
The Butterfly Room- La stanza delle farfalle non sarà inserito nei memorabilia ma una cosa che non si dimentica tanto facilmente c'è:  Alice.
La farfalla.

( VOTO : 6,5  / 10 ) 


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sabato 15 giugno 2013

Eddie: The sleepwalking cannibal ( 2012 )

Lars Olafssen ha vissuto il suo quarto d'ora di warholiana celebrità una decina di anni prima assurgendo al rango di next big thing in campo pittorico. Da allora però ha perso l'ispirazione.Dalla natia Danimarca si trasferisce in Canada in une piccola cittadina in riva a un lago, Koda lake e per sbarcare il lunario accetta di lavorare nella locale scuola d'arte. Nella sua classe c'è Eddie, omone grande, grosso e silenzioso, con il cervello ancora allo stadio dell'infanzia e che è nella scuola solo perchè è il nipote della maggiore finanziatrice della stessa. Quando costei muore improvvisamente Lars è più o meno costretto dal preside a prendersi Eddie in casa scoprendo presto che ha un piccolo vizio: di notte , quando dorme va in giro in mutande a divorare animali ma anche carne umana, uccidendo selvaggiamente le sue prede. E poi torna pacifico a dormire nel suo letto.
Lars è sconvolto ma scopre suo malgrado che  il macabro spettacolo riservatogli di Eddie gli ha fatto tornare l'ispirazione per dipingere quadri bellissimi.
E anche lui , come Eddie, non è in grado di resistere a questa nuova forma di ispirazione. Comincia a seguirlo nelle sue scorribande notturne, anzi comincia a "guidarlo" verso nuove vittime....
Un vero peccato che il titolo contenga un gigantesco spoiler. A dire la verità il titolo di partenza era solo Eddie, poi i produttori hanno pensato bene di aggiungere quel The sleepwalking cannibal per renderlo più appetibile. A dir la verità non ci sono riusciti molto perchè questa bislacca produzione tra Canada e Danimarca, uscita in pochissime sale negli USA ha racimolato qualcosa come poco più di 1500 dollari di incasso.
Ed è un peccato perchè è un film divertente nonostante abbiano cercato di spacciarlo per qualcosa che non è.
Eddie: The sleepwalking cannibal non è un horror, perlomeno non lo è nel concetto tradizionale che abbiamo del genere: è vero contiene alcune parentesi splatter ( lasciate fuori campo o sfocate sullo sfondo dell'inquadratura) ma il tono che prevale è quello del grottesco mescolato sagacemente alla commedia.
Il film di Boris Rodriguez è il ritratto di un freak, anzi di due, a questo proposito il titolo sembra un gigantesco specchietto per le allodole perchè se è vero che Eddie ha quel "vizietto" di cui è assolutamente inconsapevole è vero soprattutto che il vero mostro di tutto il film sia Lars che prima sfrutta Eddie guardandolo quasi con ribrezzo quando scopre quello che fa nella foresta ma poi non si fa scrupolo a servirsene per trarne ispirazione per la sua arte .
Arte che per lui diventa più importante della vita altrui, forse anche più della propria. E per questo, mediante Eddie,  "sacrifica" volontariamente vicini prevaricatori e antipatici o bulletti di periferia che hanno avuto a che dire con loro.
Lars è una sorta di dr Frankenstein che lascia la sua creatura libera di scorrazzare per ogni dove, utilizzandola per i propri scopi.
Col passare dei minuti il film assume anche le cadenze di un thriller, sempre sui generis ( come ambientazione e come stile richiama alla lontana le atmosfere del coeniano Fargo) e sempre con l'accento grottesco ben evidente.
Eppure sotto la patina da horror indie ( gli effetti speciali sono molto rustici e vintage e comunque tutto o quasi è lasciato fuori campo oppure viene sfocato sullo sfondo dell'inquadratura) quella che vediamo è una commedia sbilenca dotata di humour nerissimo che si diverte a sfiorare tangenzialmente vari generi.
Gli si può quindi perdonare la ripetitività di alcune situazioni e anche una certe prevedibilità di fondo.
Perchè comunque , nonostante tutto, diverte abbastanza.

( VOTO : 6,5 / 10 ) 


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