I miei occhi sono pieni delle cicatrici dei mille e mille film che hanno visto.
Il mio cuore ancora porta i segni di tutte le emozioni provate.
La mia anima è la tabula rasa impressionata giorno per giorno,a 24 fotogrammi al secondo.
Cinema vicino e lontano, visibile e invisibile ma quello lontano e invisibile un po' di più.

mercoledì 28 ottobre 2015

Janara ( 2015 )

Marta e Alessandro tornano al paese di lei, San Lupo , nel beneventano, a causa di questioni legate al testamento del nonno.Trovano un paese oltre la crisi di nervi perché i bambini spariscono e la polizia brancola nel buio credendo che si tratti di un inafferrabile pedofilo,
Gli abitanti del paese credono che sia in realtà tutta colpa della Janara, una strega mandata al rogo mentre era incinta proprio lì a San Lupo e che ora viene a prendersi tutti i bambini del paese.
Più passano i giorni e più Marta si accorge che in qualche modo è legata alla Janara ed è per questo che non esita a mettere in gioco se stessa , il suo matrimonio e la sua gravidanza...
Janara è l'esordio alla regia di Roberto Bontà Polito che per il suo primo film attinge alla tradizione popolare campana contadina rievocando la figura di una misteriosa strega che aleggia sul destino di un intero paese incastonato nella parte più nascosta del Sannio, luogo aspro e impervio che diede molto filo da torcere assieme ai suoi indomiti guerrieri anche alle potentissime legioni romane che di lì a qualche decennio avrebbero conquistato quasi tutto il mondo conosciuto.
Ed è proprio l'ambientazione in questo paese in mezzo alle montagne, chiuso non solo metaforicamente a causa di abitanti ben poco ospitali, ma proprio dal punto di vista geografico, è il pregio principale di un film che avrebbe tutte le possibilità di essere un buon prodotto di nicchia, destinato agli aficionados del genere.
Roberto Bontà Polito riesce a costruire una bella cornice , una ragnatela fitta di suggestioni, di misteri e di intrighi dietro facciate peraltro poco rassicuranti ( vedi il personaggio del prete), ha tra le mani una leggenda bellissima da raccontare che fa parte della millenaria tradizione contadina del luogo, ma poi non ha lo scatto definitivo per andare oltre un bello spunto,
E' proprio quando viene dipanato il mistero della strega che vengono alla luce tutte le debolezze di scrittura di un film che pur non brillando in sede di sceneggiatura ( diciamo che ci sono alcuni dialoghi e alcune dinamiche tra i personaggi del film che se ne infischiano allegramente del buon senso e della verosimiglianza) nella prima ora aveva catturato l'interesse per il suo essere ibrido tra vari generi e soprattutto per essere italiano, per raccontare un pezzetto del nostro folklore e mostrarlo orgogliosamente al mondo intero.
Quello che si può imputare al regista ( e anche co-sceneggiatore ) è una certa mancanza di coraggio per come si trincera dietro soluzioni già viste troppe volte ( vedi la caccia alla strega da parte dei paesani e i vari tentativi di linciaggio) fino ad arrivare a un prefinale a mio parere poco riuscito proprio perché sbatte in faccia allo spettatore tutto quello che aveva abilmente suggerito per tutto il resto del film.
La solita storia che l'orrore è meglio evocarlo che mostrarlo, Roberto Bontà Polito cade in questo errore.
La regia è comunque apprezzabile nella composizione dell inquadratura , sfrutta bene le scenografie spartane del film ( ma non è un demerito, nelle scene in  interni si ha come la sensazione di tornare nella casa dei nonni con quegli arredamenti vecchi ma non antichi e tanto tanto tristi ) e ha una fotografia che privilegia i toni insaturi decolorando il tutto in maniera innaturale ma abbastanza suggestiva soprattutto nelle sequenze notturne.
Il punto di criticità è la recitazione che convince poco sia nei protagonisti , sia negli attori secondari.
Il livello mi sembra un po' troppo basso.
Su Imdb.com si parla di un budget di poco più di un milione di euro: mi sembra esagerato, a me sembra un film fatto con molto meno...
Magari qualcuno riuscirà a risolvere questo mistero.
Comunque non è così brutto come lo si dipinge.
Gli appassionati troveranno punti di interesse.



PERCHE' SI : bella ambientazione, prima parte suggestiva, buona confezione.
PERCHE' NO : la seconda parte non funziona , livello recitativo basso in generale.



LA SEQUENZA : il rito religioso nel bosco.



DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

Ho conosciuto il mito della Janara che prima mi era sconosciuto.
Ho conosciuto il paesino di San Lupo.
In Italia la scena horror è in fermento.
Basterebbe trovare produttori illuminati...


( VOTO : 5,5  / 10 )

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domenica 25 ottobre 2015

Suburra ( 2015 )

Novembre 2011 : il papa sta meditando sulle sue dimissioni e anche il governo italiano non se la passa tanto bene.
Il deputato Filippo Malgradi in attesa di far passare una legge in cui il lido di Ostia diverrà una specie di Las Vegas sul mare , trascorre la notte con due escort, suo vizietto seriale di cui una non ancora arrivata alla maggiore età. E gli succede un guaio, ma di quelli grossi.
Sabrina , l'escort che garantisce il rifornimento di giovani donne all'onorevole per rimediare si mette nelle mani di Spadino, giovane virgulto della mala romana che è il fratello di Manfredi Anacleti, capo di un clan di zingari che vuole sbarcare finalmente nella criminalità di serie A.
Numero 8 , boss emergente in quel di Ostia entra in rotta di collisione con Spadino e gli zingari.
Un losco figuro, chiamato il Samurai cerca di calmare le acque facendo da tramite tra la politica corrotta , le famiglie mafiose e la nuova criminalità romana.
Accanto a tutti loro c'è il viscido Sebastiano, organizzatore di feste di VIP che viene usato dagli Anacleti per venire a capo di tutta la faccenda.
Questo e molto altro nell'inferno di Suburra.
Stefano Sollima è un figlio d'arte che fa dimenticare presto il suo illustre cognome grazie alla sua gavetta in televisione e allo sbarco al cinema con due film ( l'altro è ACAB) che trovano di fatto un modo di esprimersi comune, sanguigno e verace in qualche maniera mutuato dalle sue migliori prove nella serialità, Gomorra e Romanzo Criminale.
Impossibile non vedere quel fil rouge che collega tutta la sua opera, un cordone ombelicale che nelle mani di uno poco dotato sarebbe diventato un ingombro volumetrico impossibile da gestire.
In un regista di talento come Stefano è diventato cifra stilistica.
Suburra è la Gomorra che da sotto il Vesuvio si è trasferita sulle rive del Tevere e sulle sponde del litorale ostiense, è il Romanzo Criminale del nuovo millennio che non disdegna ricollegarsi al passato, vedi il personaggio di Samurai, ora figura di collegamento ma nel passato in prima linea quando si trattava di far cantare alle armi la loro triste sinfonia di piombo.
E' un film che ha uno stile ben riconoscibile, una fotografia dai toni plumbei ad opera di Paolo Carnera che (non ) colora un universo sferzato dalla pioggia che procede a grandi passi verso l'apocalisse, un andamento alacre e sicuro che cattura e che avvinghia ai braccioli della poltroncina del cinema quasi a temere di essere trascinati via da quel mare di fango che invade tutto.
Suburra è la testimonianza tangibile che se ci sono i fondi, se c'è un progetto credibile, se c'è la volontà di tutti, produttori in primis, in Italia sappiamo ancora fare bel cinema di genere.
E Sollima con la sua regia ricercata ma secca e decisa  è il valore aggiunto a un film che può essere tranquillamente esportato all'estero e fare la sua eccelsa figura non avendo nulla di invidiare a nessuno, neanche al modello hollywoodiano.
Ottimo anche il lavoro degli attori con un Favino che cambia millemila volte registro recitativo risultando anche spiazzante , Germano che recita al suo standard altissimo in un personaggio che sembra fatto su misura per lui mentre ho fatto più fatica a digerire Amendola in un ruolo così ambiguo e sfuggente. Lui con quel suo fare paternalistico non mi ha mai dato l'idea dell'ambiguità, non lo vedo fisiognomicamente adatto a ruoli da cattivo, quindi ho fatto fatica a mandarlo giù.
Ma credo che sia solo un problema mio perché lui il suo lavoro lo fa alla perfezione.
Nota di merito va a Alessandro Borghi , nella parte di numero 8, carismatico come pochi sanno essere con quello sguardo di ghiaccio che sembra entrarti dentro e alle uniche due presenze femminili di un certo peso nel film: Greta Scarano e Giulia Elettra Gorietti.
Se Sorrentino aveva riletto metaforicamente il male che si annida tra le mura della città eterna ne La grande bellezza, se Garrone in Gomorra usava soluzioni visive estremamente ricercate quasi a voler caricare anche lui di metafora la sua incandescente materia narrativa, Sollima si arma di sciabola per descrivere una città edificata sul malaffare, flagellata da una pioggia incessante ,con i tombini che vomitano acque limacciose e liquami in uno scenario che ha molto di quell'apocalisse scandita dai giorni che passano in quel novembre del 2011.
Sia chiaro Suburra ha anche alcuni difetti: è ben visibile che sia stata pensata su una distanza molto più lunga di quella cinematografica, non c'è una storia concreta alla base del tutto ma sono varie sottotrame che si ricollegano a formare un affresco corale, ci sono passaggi discretamente oscuri probabilmente omessi per comprimere la storia nelle due ore abbondanti del film.
Ma sono difetti che arrivano ad essere marginali quando si è avvinti in una narrazione così vigorosa.
Non so se Suburra sarà una nuova pietra di paragone per il cinema di genere italiano: solo il tempo ce lo dirà .
Ma noir di questo stampo ne abbiamo veramente ben pochi nella storia del nostro cinema.
Chapeau!



PERCHE' SI : cinema italiano che finalmente si discosta dalla comicità e dalla mediocrità, grandissima regia e ottimo cast,anche tra gli attori emergenti,Forse il film italiano dell'anno.
PERCHE' NO : pensato su una distanza televisiva e si nota , qualche particolare oscuro e compresso per non superare le tempistiche cinematografiche.



LA SEQUENZA: ce ne sono tante da ricordare: la notte dell'onorevole con le due escort, il suo delirio di onnipotenza, l'assalto al supermercato, il finale.



DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

E' evidente che anche noi possiamo fare bel cinema.
Perché fossilizzarsi sulla scarsa qualità e sul genere pecoreccio cinepanettonizio?
Sollima è figlio di cotanto padre.
Alessandro Borghi è una grandissima scoperta.



( VOTO : 8 + / 10 ) 


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martedì 20 ottobre 2015

Deathgasm ( 2015 )

Brodie è un metallaro un po' sfigato in una scuola in cui quelli che vanno in giro vestiti come lui, capelli lunghi, giubbino di pelle e magliette leggermente alternative, sono visti come appestati.
Disegna fumetti , è innamorato della più bella della scuola che naturalmente è fidanzata con uno che non è un mostro di simpatia e che non esita a fare il bullo con Brodie, ha un paio di amici più nerd di lui a cui piacciono i giochi di ruolo.
La sua vita cambia quando incontra Zakk, metallaro anche lui che suona il basso.
E quando uno che suona la chitarra, Brodie, incontra uno che suona il basso, per l'appunto Zakk, che cosa può venire fuori ?
Risposta esatta : una band fatta reclutando gli altri due amici.
E che cosa fare di meglio se non recuperare un pezzo "satanico" scritto da uno dei loro idoli musicali?
Detto, fatto : ma le cose non vanno come Brodie e Zakk avevano previsto.
Evoocano un demone cieco e la mattanza ha inizio.
Sono ormai più di 33 anni che ascolto hard rock ed heavy metal: ero praticamente alle soglie dell'adolescenza quando la voce incredibile di Ian Gillan , la chitarra di Ritchie Blackmore e tutto Made in Japan mi travolsero con  la loro furia e la loro tecnica.
Era quella la musica che volevo ascoltare : poi arrivarono i Black Sabbath, gli AC/DC e tutto il resto step by step  a suon di dischi epocali , almeno per il sottoscritto.
Operation Mindcrme dei Queensryche poi nell'88 ci fu un disco che mi fece esplorare un altro limite che ancora non avevo esplorato : era Leprosy dei Death di sua maestà Chuck Schuldiner,
un'elegantissima mazzata nelle gengive a cui l'anno dopo si accompagnò un disco ancora più oltre i limiti e che ancora oggi ascolto con estremo piacere , Altars of Madness dei Morbid Angel.
Avevo anche la maglietta.
Questo per dire che io un personaggio come quello di Brodie lo capisco fino in fondo e lo trovo molto, ma molto credibile, creato evidentemente da uno, Jason Lei Howden qui al suo esordio da regista e da sceneggiatore sulla lunga distanza, che sa come funzionavano le cose negli anni '80.
Deathgasm, ma che nome grandioso per una band, morte e orgasmo nella stessa parola,rinverdisce il classico dittico horror / metal e  puzza di tante cose che mi piacciono : di anni '80, di cantine in cui provare la propria musica, di metal e di Peter Jackson, del primo Peter Jackson non quello che va cercando anelli o organizzando battaglie tra nani come se fosse l'ultima trovata partorita dalla mente di un pervertito.
Forse non è un caso che Howden sia un'artista di effetti speciali, che sia neozelandese e che ha lavorato con Jackson nei suoi ultimi due film della trilogia hobbitesca ma a livello visivo Deathgasm è un salto indietro a Bad Taste e Splatters di Jackson ma anche oltre , diciamo a Raimi.
Il tutto infiocchettato con generose dosi di ironia ma con una cattiveria nel gore che urla a pieni polmoni la sua fiera appartenenza al genere horror.
Da quando viene evocato il demone è tutto un susseguirsi di stravasi di sangue , fluidi organici e liquami non ben definiti di varia origine, è un tripudio di decapitazioni, asportazioni cardiache e intestini a tracolla, una specie di helzapoppin horror in cui la velocità è portata oltre il limite massimo.
Eppure non si perde mai di vista la sostanza : ci sono tre personaggi che sono scritti con dovizia di particolari : c'è Brodie che è il classico metallaro a cui non hanno ancora insegnato che la tanto mitizzata fratellanza metallica forse, dico forse , è solo una grandissima stronzata ( almeno nel suo caso è così), c'è Zakk che mostra presto la sua faccia opportunista e traditrice quando si tratta di sfilare Medina dalle mire di Brody ma poi torna sui suoi passi in preda a chissà quale sussulto di coscienza e poi c'è Medina che si trasforma in un'eroina da fumetto solo grazie al metal, una sorta di Doro Pesch in sedicesimo.
C'è poi una grande voglia di prendere in giro e prendersi in giro e non si salva niente e nessuno: neanche l'heavy metal che dovrebbe essere la sola luce in un putrido mondo di tenebra.
Che dire?
Mi sono divertito abbestia , tanto per usare un termine tecnico , è come se fossi salito sulla giostra del luna park e mi fossi ritrovato frullato in una sorta di macchina del tempo che mi ha fatto macinare ricordi su ricordi.
Bella sensazione, grazie Deathgasm.
Non perdete i titoli di coda...cercano un nome per la band....


PERCHE' SI : film che puzza di cantina , di heavy metal e di Peter Jackson.A me già basterebbe ma poi metteteci anche tre bei personaggi scritti da uno che evidentemente sapeva come funzionava il tutto, sangue a secchiate e ironia a profusione.
PERCHE' NO :  sempre in bilico tra la commedia e il nonsense a volte la demenzialità esonda ma è poco male. Chi non è metallaro questo film se lo godrà la metà....



LA SEQUENZA : la lotta contro la coppia di demoni a colpi di dildo, vibratori  e varia  altra attrezzatura sessuale.


DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

In Nuova Zelanda stanno mediamente male ma l'avevo già intuito.
Un altro piccolo gioiello horror che viene dall'altra parte del mondo: non può essere un caso.
Che cosa sarebbe un mondo senza heavy metal?
Come chiamereste la vostra band?


( VOTO : 7 + / 10 )


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domenica 18 ottobre 2015

Via dalla pazza folla ( 2015 )

Bathsheba Everdene è stata cresciuta dagli zii e presto si ritrova a dirigere la loro fattoria.
Le fa la corte Gabriel Oak, pastore prestante e abbiente  ma è soprattutto il ricco vicino Bolwood che le domanda insistentemente di sposarla anche perché Oak a causa della perdita del suo gregge si trova costretto a lavorare agli ordini della donna.
Bathsheba in realtà si innamora di un poco di buono, il tenente Troy, dedito al meretricio e al gioco d'azzardo che riesce a sposarla.
Il matrimonio non può far altro che andare a rotoli e per qualcuno si presenterà una ghiotta seconda occasione.
Uno dei ricordi più belli che ho degli studi di letteratura inglese al liceo è stata la scoperta di Thomas Hardy che ho avuto la fortuna di leggere in originale oltre che tradotto nella nostra lingua.
E ho sempre apprezzato la sua prosa vigorosa, senza mezze misure, lapidaria al servizio di storie strappacuore con il loro bel fondo di ambiguità e che comunque profumavano sempre di vita vera, vissuta.
Vedendo questa nuova fatica di Thomas Vinterberg, regista che apprezzo moltissimo, ho avuto una brutta sensazione : più vedevo Carey Mulligan e compagnia cantante agitarsi da una parte all'altra dello schermo  e più avevo negli occhi l'omonimo adattamento di quasi cinquanta anni fa ad opera di John Schlesinger.
Questione di stile registico, molto leccato quello di Vinterberg con quella patinatura fastidiosa che accompagna lo spettatore per tutte le due ore, anche nelle sequenze a più alto tasso emotivo, vigoroso esattamente come la pagina scritta quello di Schlesinger, non uno qualunque, ma soprattutto questione di cast.
Confrontare il cast del film del 2015 con quello del 1967 rischia di essere ingeneroso per la pellicola di quest'anno : se Carey Mulligan è discreta nella parte ( ma è anni luce lontana dalla forza espressiva di una Julie Christie in una delle prove più convincenti della sua carriera) e Sheen si salva solo con l'enorme tecnica di cui è in possesso è totalmente improponibile il confronto di Shoenaerts e Sturridge con Alan Bates e Terence Stamp.
Shoenaerts nella parte di Oak è troppo poco inglese e un po' troppo delicato al contrario di un Alan Bates forse meno bello ma decisamente più sanguigno e credibile, Sturridge invece sembra solo una pallida imitazione fisica di Terence Stamp che nel film era fuoco e ghiaccio allo stesso tempo, il suo solo sguardo era sufficiente per far cadere schiere di donne ai suoi piedi.
Vinterberg che in carriera ha dimostrato più volte di essere interessato alla sostanza più che alla forma , qui si comporta come uno dei più impersonali calligrafi hollywoodiani perdendosi nella patinatura delle sue belle immagini , quasi scomparendo nei tramonti e nei campi lunghi di cui sembra quasi abusare.
Per chi non ha visto l'altro questo remake non è brutto , anzi , ma dà l'impressione di essere troppo calcolato, l'emozione è relegata in un angolino , perduta dietro e dentro la bella forma, rischia di essere un florilegio di pregiate ricostruzioni ambientali e costumi studiatissimi fin nei minimi termini.
Il melodramma che ne vien fuori è annacquato, quella che era una storia d'amore intensa e a suo modo inspiegabile , l'ineluttabilità del sentimento amoroso, è solo un'increspatura tra il personaggio di Bathsheba e il suo vivere per sempre felice e contenta.
Viene perso il femminismo appassionato del romanzo, perché nell'epoca vittoriana avere  una donna a capo di una fattoria era quasi disdicevole e comunque come minimo inappropriato, in favore di una semplice ronda amorosa , un ballo a più passi in cui vince il favorito del pubblico nel nome del lieto fine sempre e comunque.
Cosa ben diversa da quello che succedeva nel film di Schlesinger: vince anche qui il meno peggio ma ha il sapore di un ripiego e la malinconia unita al rimpianto regnano sovrani.
Vinterberg riesce però a donare al suo film quel tocco di modernità accattivante per gli spettatori un po' più giovani,che tuttavia non basta a creare un classico senza tempo.


PERCHE' SI : la forma è accattivante, Carey Mulligan e Sheen non escono triturati dal confronto con l'omonimo film di Schlesinger, tocco moderno per appassionare i più giovani.
PERCHE' NO : patinatura a tratti eccessiva e quindi fastidiosa, Shoenaerts e Sturridge sono asfaltati da Bates e Stamp.



LA SEQUENZA: lo sterminio del gregge di Oak



DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

Forse è meglio non vedere remakes di film amatissimi qui a bottega.
Carey Mulligan mi lascia sempre con il dubbio.
Quella era Juno Temple?
Ma questo è lo stesso Vinterberg di Festen e del Dogma 95?


( VOTO : 5,5 / 10 )

Far from the Madding Crowd (2015) on IMDb

mercoledì 14 ottobre 2015

Black Mass - L'ultimo gangster ( 2015 )

Jimmy "Whitey" Bulger è un malfattore d'origine irlandese che dopo aver fatto tutta la gavetta nella criminalità locale si trova a capo di una potente organizzazione mafiosa dedita al traffico di stupefacenti, al racket e al gioco d'azzardo che domina tutta Boston con l'intento di cacciare via i mangiaspaghetti italiani e tutti quelli che lo vogliono ostacolare.
Ha un fratello che è un politico di peso e un amico, John Connolly che lavora nell'FBI e di cui diventa informatore avendo in cambio tutta la protezione possibile e immaginabile per continuare indisturbato con i suoi traffici e la sua lunga serie di omicidi spesso commessi in prima persona.
La vita di Jimmy Bulger, a proposito quanto adoro poi andarmi a documentare sulla vera esistenza dei personaggi protagonisti di questo come degli altri film , più che un romanzo , è un fiume in piena.
Da criminale di mezza tacca a gangster potentissimo un po' per meriti suoi, un po' per la sua abilità strategica ma anche per via delle protezioni che ha avuto e di come sia riuscito a svicolare tra una crisi e l'altra , sparendo e riapparendo nei momenti giusti e senza il timore di mostrare il suo lato più spietato.
Il film di Scott Cooper, regista che si appassiona a storie che dovrebbero essere epiche ma a cui continua a sfuggire il senso dell'epicità ( vedere per credere anche gli altri due suoi film da regista , Crazy Heart e ma soprattutto Out of the furnace), si muove praticamente in un campo minato senza alcuna protezione.
Un campo minato che prende le mosse da Il padrino, saga mafiosa inarrivata e inarrivabile ma in particolar modo dall'epopea gangster raccontata da Scorsese in Quei bravi ragazzi da cui formalmente si mantiene a distanza di sicurezza ma inevitabilmente finisce per essergli accostato per sostanza e tematiche affrontate.
E fa la stessa figura che fece a suo tempo Blow di Ted Demme, sempre Johnny Depp, altro film incentrato su un protagonista realmente esistito a suo modo memorabile, cioè quella di un fratellino minore , in tutti i sensi , del film di Scorsese.
Black Mass - L'ultimo gangster ( ma tu esimio titolista italiano , perché metti questa postilla senza senso, L'ultimo gangster, siamo sicuri che Bulger sia l'ultimo della sua razza?) ha una messa in scena perfetta, ricostruzioni ambientali da manuale, un cast di spessore ma fallisce nel nobilitare la materia narrativa facendola salire nell'empireo delle storie larger than life, cosa che era riuscita a Ridley Scott con American Gangster giusto per citare un esempio recente e un regista che può essere letto come l'esatto opposto di Scott Cooper per come riesce a ricreare il pathos e il respiro epico in storie che in mano ad altri non lo avrebbero ( leggasi Il gladiatore che nelle sue mani è diventato un mito generazionale mentre in mano a un professional qualsiasi stipendiato dagli studios si sarebbe trasformato in un romanzetto d'appendice).
Dicevamo del cast : stupisce Johnny Depp che pur seppellito sotto trucco e parrucco è perfettamente riconoscibile e dona al suo personaggio un'aria incredibilmente tetra e rabbiosa arrivando a un livello recitativo che ultimamente non gli era più consono, mentre Joel " Are you talking to me ?"Edgerton denireggia senza ritegno con tutte le sue mossette, tic e autopalpeggiamenti vari.
Sembra che si sia fatto un'overdose di visioni ripetute della scena di De Niro davanti allo specchio in Taxi Driver.
Altra tematica che magari andava approfondita e invece nel film viene solo sfiorata è il rapporto perverso che si viene a creare tra mafia e potere simboleggiato sia da Connolly ma soprattutto dal fratello politico di Bulger, figura sfuggente e ambigua a cui forse viene concesso uno spazio troppo esiguo.
Scott Cooper si dimostra ancora una volta uno dei calligrafi più richiesti da quel di Hollywood, perfetto nel dare una forma ineccepibile alla sua opera ma incapace di conferirgli un'anima.
Manca il respiro, manca il racconto di un'epoca , manca il racconto del mondo attorno a Bulger riducendo il film a una compilation di omicidi di mafia e di intrighi di corte.
Andasse a scuola da Scorsese e Ridley Scott.


PERCHE' SI : le due ore scorrono veloci, ottimo Depp, formalmente ineccepibile.
PERCHE' NO : manca l'epica e il racconto di un 'epoca, Edgerton denireggia senza ritegno, difetta di anima.


LA SEQUENZA : non renderò giustizia al film ma dico le immagini , vere, sui titoli di coda, quelle in cui si vedono i personaggi realmente esistiti.


DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

Gli USA non avendo storia millenaria sono bravissimi a trovare questi personaggi incredibili.
Magari nelle mani di un altro la storia di Whitey Bulger avrebbe avuto altra luce.
Depp incarna un 'efficacissima figura maligna.
Edgerton esagera nel "colorare" la parte...


( VOTO : 6,5 / 10 )


 Black Mass (2015) on IMDb

domenica 11 ottobre 2015

Sicario ( 2015 )

Kate è una giovane agente dell'FBI afflitta da una dose incoercibile di idealismo nel lavoro che fa. Una perquisizione in una casa di narcotrafficanti che le fa scoprire decine di corpi murati nelle pareti la scuote profondamente e lo fa ancora di più il fatto che venga arruolata in una sorta di task force con poteri praticamente illimitati che combatte il narcotraffico con mezzi leciti ma soprattutto illeciti.
Nei sanguinari blitz oltreconfine Kate è costretta a guardare e a interrogarsi sulla moralità di quello che sta facendo o meglio che gli altri stanno facendo attorno a lei.
E' questa la polizia in cui si era arruolata?
E' leone oppure agnello?
Chi mi conosce sa che non apprezzo più di tanto il cinema hollywoodiano attento soprattutto al profitto cercando di non pestare i calli di nessuno e non sono particolarmente appassionato di lieti fine, materia in cui gli uomini al soldo degli Studios sono professori emeriti.
Mi piace moltissimo invece chi viene chiamato a lavorare da loro e cerca di non uscirne appiattito, asfaltato come spesso succede in nome del dio dollaro.
Oltre a questo il canadese Denis Villeneuve, oltre a confermare il suo modo di fare cinema, nei suoi due film americani , Prisoners e Sicario ,  per l'appunto, ha dimostrato di non lasciarsi impressionare più di tanto dalla codifica dei generi in cui si è immerso ,flettendoli a proprio piacimento e al suo modo in fondo neanche tanto sottile di criticare profondamente la civiltà americana fatta di giustizia fai -da-te e di esportazione illegale di democrazia e di legalità ( presunta), cosa in cui gli yankees storicamente hanno sempre "brillato" da mezzo secolo a questa parte.
E la cosa che mi vien da pensare è che il punto di vista di Denis Villneuve sia quello di un canadese che guarda il vicino americano con quell'aria di sufficienza che si ha quando si guarda un essere inferiore.
Sicario è un poliziesco sotto mentite spoglie che presto assume le fattezze di un film di guerra combattuto in scenari urbani che sembrano a un passo dall'apocalisse e paesaggi simil lunari che sembrano aver appena oltrepassato l'apocalisse di cui sopra.
E' uno strano ibrido cinematografico che a tratti ricorda Traffic di Soderbergh ma che stilisticamente è molto più vicino a Zero Dark Thirty della Bigelow.
Gli USA combattono una guerra sporca e non gli interessa macchiare le proprie mani di sangue innocente, di effetti collaterali, calpestano senza problemi leggi e procedure, si fanno beffe del diritto internazionale.
La task force di cui Kate si trova a far parte è formata da uomini perennemente in missione che se ne strafottono di leggi e normative.
E se questi uomini non si pongono alcun dilemma morale ( vedi il personaggio di Del Toro che è animato da puro senso di vendetta, se non si vendica non sa più chi è ) , questi stessi dilemmi morali sono dei macigni insostenibili sulla coscienza di Kate, forse troppo giovane , sicuramente troppo idealista  e probabilmente senza quell'occhio della tigre che serve in questo tipo di lavoro.
Se moralmente l'assunto di alcuni personaggi chiave del film è assolutamente esecrabile e non condivisibile d'altra parte abbiamo una sorta di massa indifferenziata di narcotrafficanti, ammanicati con la polizia messicana e che non danno alla vita un valore altissimo, diciamola così anche se suona come un pietoso eufemismo.
Ecco quindi che Sicario diventa una lotta all'ultimo sangue in cui si distinguono i buoni dai cattivi ma i cosiddetti buoni si distinguono dagli altri solo perché portano una casacca diversa e sono stipendiati da uno Stato confinante, perché i metodi sono all'incirca gli stessi.
Per i protagonisti di Sicario il confine tra USA e Messico è solo un dettaglio geografico.
Così come riempirsi vicendevolmente di piombo caldo.
E Kate non riesce a far parte di questo mondo.



PERCHE' SI : sequenze di altissimo cinema, critica feroce al sistema americano, Del Toro magnifico ma anche una Blunt inaspettata.
PERCHE' NO : difficile trovare difetti: forse Villeneuve a volte si fa trasportare dal voler consegnare a tutti i costi un messaggio al pubblico.


LA SEQUENZA :l'assalto al tunnel dei narcos.



DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE:

Villeneuve è oramai regista a cinque stelle.
Devo procurarmi assolutamente il suo Enemy che mi è colpevolmente sfuggito.
Non mi aspettavo una Blunt così fragile e cazzuta ( ma non abbastanza) allo stesso tempo.
Del Toro con la sua sola presenza illumina la scena. Che carisma che ha quest'uomo.


( VOTO : 8 / 10 )


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giovedì 8 ottobre 2015

Inside Out ( 2015 )

L'undicenne Riley , assieme ai suoi genitori si trasferisce dal tranquillo Minnesota alla caotica San Francisco.Per lei alle prese con la sensazione di distacco dalle sue migliori amicizie e con la paura di trovarsi in un ambiente totalmente nuovo, non è facile e non lo è nemmeno per tutti i sentimenti che le si agitano in testa: Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura.
Saranno loro a guidarla , disastro dopo disastro in questo periodo di cambiamento e di crescita.
A vederlo in faccia non gli daresti un centesimo di credito, perché non sembra molto sveglio  e sto usando un cortese eufemismo, ma Pete Docter ( che ha diretto Inside Out assieme a Ronnie Del Carmen che a giudicare dal curriculum si è occupato degli aspetti tecnici),  è il regista e sceneggiatore di punta della Pixar, responsabile di alcuni dei loro film più riusciti e di successo.
Si devono a lui i mostri dell'inconscio di Monsters & Co, la divertente incursione nel buddy movie della saga Toy Story, la sublime elegia della vecchiaia in quel piccolo capolavoro che era Up e anche quella straordinaria favola ecologista travestita da film di fantascienza che era WALL-E.
Inside Out si inserisce nella sua carriera con grandissima coerenza: tratta argomenti a lui familiari, l'inconscio, il processo di crescita con tutti i suoi problemi e lo fa rispolverando una credibile patina di buddy movie.
E i nostri figli , con buona pace di tutti i nostri insegnamenti scoprono che non c'è un criceto nella loro testa che facendo girare la ruota su cui è sopra in pianta stabile fa funzionare tutto nel meno peggiore dei modi ma addirittura una console superaccessoriata, tecnologicamente avanzatissima che è regolata non da uno ma addirittura da cinque " piloti"  che stanno a simboleggiare le loro emozioni principali.
Addirittura si parla di "isole della personalità" con tanto di crollo misero quando si tocca la pallina, pardon il ricordo sbagliato.
E qua comincio a vedere che forse il messaggio che si voleva dare con questo film fa leggermente fatica ad arrivare: Gioia e Tristezza sono impegnate in un viaggio pericoloso in cui si conosceranno intimamente, in cui non potranno fare l'una a meno dell'altra ( del resto il concetto di tristezza e insito in quello di gioia esattamente come il concetto di morte è insito in quello di vita), in cui saranno accompagnate per un certo periodo da un amico immaginario che piange caramelle e combina guai , uno dei personaggi meglio riusciti mai partoriti da casa Pixar.
Un viaggio che ha il potere di decidere la vita di Riley.
Ecco qui ho visto che Inside Out cominciava a essere diverso : non è il tanto sventagliato cinema per bambini da 6 a 99 anni .
E' qualcosa che deve essere necessariamente riletto a seconda della fascia d'età d'appartenenza.
Inevitabile che gli adulti guarderanno dietro la facciata elegante di Inside Out, di una bellezza perfetta, talmente perfetta da risultare un filo inquietante.
Vedranno tutta quella pappardella a cui ho accennato prima: il coming of age movie, tutte le piccole e grandi insidie che si nascondono nel percorso della vita e della crescita, incontreranno anche un sotile senso di malinconia che si accompagna a ritrovare i ricordi di una gioventù ormai sepolta sotto una gran massa polverosa di avvenimenti più o meno piacevoli.
Ti diverti a vedere Inside Out, sorridi, ridi anche sonoramente ma te ne esci dal cinema col groppo in gola, con la sensazione che hai nell'esofago qualcosa che ti si è incastrato e non va giù ne su.
E' la tristezza o forse è meglio chiamarla nostalgia di aver ricordato un certo periodo della propria vita che a conti fatti si è rivelato il più bello, cosa che non appariva sicuramente mentre lo stavamo vivendo.
E se quella sublime,struggente  favola sulla vecchiaia che era Up non aveva toccato più di tanto noi giovani genitori che portano al cinema i loro figli proprio perché non sentivamo di appartenere a quella generazione, Inside Out invece ci tocca , eccome se ci tocca.
Però, ed è questo il punto a cui volevo arrivare, è un po' troppo sofisticato per essere colto dai nostri figli che saranno investiti dalla solita overdose massiccia di suoni e colori, di personaggi memorabili( Bing Bong ma anche Tristezza a modo suo è un personaggio da ricordare) ma difficilmente coglieranno il senso di quelle isole della personalità o di tutti quei personaggi che si agitano tra un neurone o l'altro.
Magari lo prendono con una magica esplorazione del corpo umano partendo dalla testa ( e qui la memoria del cinefilo corre a Viaggio allucinante di Richard Fleischer ma anche a Essere John Malkovich di Spike Jonze) oppure come l'ennesimo cartone che racconta un'avventura dall'ambientazione fantasmagorica semplice e lineare.
E invece lineare non lo è per nulla.
Anzi ti sottopone a una indesiderata seduta di training autogeno.
I figli escono col sorriso stampato a 64 denti sul loro bel visino, mentre i genitori escono con una specie di ghigno, sardonico, quasi da trisma mandibolare.
E allora vaffanculo Pixar!
Ma continua a fare film come questo perché ti voglio bene lo stesso!


PERCHE' SI : la perfezione tecnica è ormai assoluta( almeno fino al prossimo film), personaggi memorabili, profondità di scrittura.
PERCHE' NO: il messaggio è forse un po' troppo elaborato per i più piccoli, per i più grandi si trasforma in una specie di seduta di training autogeno.


LA SEQUENZA : l'incontro con Bing Bong e tutto il viaggio.


DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE : 

La Pixar fa film per bambini rivolti in realtà agli adulti.
Non ricordo di aver mai avuto un amico immaginario.
Ma se lo avessi avuto lo avrei voluto come Bing Bong.
Ma ad acciaccare subito la testa a Tristezza pareva brutto?



( VOTO : 8 / 10  )


 Inside Out (2015) on IMDb

lunedì 5 ottobre 2015

Il racconto dei racconti ( 2015 )

Tre racconti che hanno un esilissimo punto di contatto tra di loro ( una famiglia di circensi ) : la regina di Selvascura pur di avere un figlio non esita a mandare il marito al massacro contro un drago marino pur di mangiare il cuore della fantasmagorica creatura, ma non tutto andrà per il verso giusto.
Il re di Roccaforte si innamora di una donna solo a partire dalla sua voce soave . Ma non sa in realtà a chi quella voce appartiene anche se un incantesimo viene momentaneamente in suo soccorso.
Il re di Altomonte alleva una pulce fino a farla diventare di proporzioni gigantesche e poi per dare la figlia in sposa pone ai candidati una domanda a cui sembra impossibile rispondere.
Ma una specie di orco venuto dalle montagne risponde correttamente e si porta via la ragazza...
Il racconto dei racconti è il primo film diretto da Matteo Garrone girato in inglese, con un budget milionario per i nostri standard ( 12 milioni di euro, raccattati per la maggior parte all'estero) e testimonia ancora una volta la vocazione internazionale di uno dei nostri migliori registi ( se non il migliore assieme a Sorrentino) a cui evidentemente  le logiche produttive del cinema italiano stanno strette , molto strette anzi troppo strette.
Garrone rischia osando con un genere poco frequentato qui da noi, il fantasy.
Ma non si ispira ai modelli hollywoodiani infarciti di computer grafica e di effetti speciali.
Prende come ispirazione un libro di racconti della tradizione popolare italiana, utilizza luoghi sempre italiani magari sconosciuti ai più ma dotati di incredibile fascino visivo e rilegge il genere con la sua sensibilità in modo assolutamente nuovo.
Nessun anello da cercare e nessuna battaglia epica di nani, oggi il fantasy al cinema ha questi parametri , ma tre storie che sembrano appartenere a un tempo perduto, tre favole macabre che fanno dell'ambientazione e di un modo di raccontare sommesso e rarefatto la cifra stilistica principale.
Il risultato è un ibrido multiforme e affascinante che sembra raccontare alcune di quelle favole meravigliose raccolte da Calvino in una magica antologia che andava a cercare tutte quelle storie nascoste nelle pieghe della narrazione popolare italiana.
Il racconto dei racconti è un qualcosa di cinematograficamente nuovo, stilisticamente diverso sia dal modello a cui evidentemente non si ispira ( quello hollywoodiano), sia dal cinema europeo che a memoria mia non aveva mai affrontato in questo modo un genere così ricco di pulsioni e suggestioni come il fantasy.
Il mondo disegnato da Garrone è un qualcosa di nuovo anche se è possibile rintracciarne le origini in altri film che hanno raccontato una sorta di altroquando italico come potevano essere alcuni film di Mario Bava, C'era una volta di Francesco Rosi, il Pinocchio di Comencini ( altra incursione capolavoro in un mondo strano e meraviglioso) ma anche L'armata Brancaleone di Monicelli.
Ma non c'è traccia di commedia ne Il racconto dei racconti: le varie storie che compongono il film sono a loro modo disperati apologhi sulla ricerca dell'amore e della felicità che si riflettono l'uno nell'altro declinando vari aspetti di quell'universo cangiante che è il sentimento amoroso.
Amore vuol dire sacrificio ed egoismo e questo lo sa la regina di Selvascura che non esita a rischiare la vita del marito pur di avere un figlio. E quando si accorgerà che suo figlio ha un gemello cerca di escludere i contatti tra i due per averlo per sé in esclusiva. Eppure l'altro figlio, cresciuto in una famiglia povera sembra infinitamente più felice e compiuto.
Amore non vuol dire solo sesso come sa bene il re di Roccaforte, erotomane senza speranza che viene messo alla prova da una sorta di contrappasso dantesco , forse l'unica storia che dentro la tragedia della follia delle sorelle ( l'amore fraterno anche qui fonte di egoismo) contiene dei brani genuinamente comici.
Amore non è solo un giocare inutile come impara bene il re di Altomonte che per il troppo azzardare si trova a dover consegnare l'amata figlia a un orco ( l'amore paterno e filiale , quello che era negato dagli eventi nel primo racconto).
In questo suo narrare l'amore pizzicando corde distorte , Il racconto dei racconti dimostra ancora una volta la sua unicità e la sua complessità.
Forse a livello di budget visivamente manca qualcosa in termini di effetti speciali e visivi ( comunque utilizzati in maniera parca ma incisiva) ma soprattutto di scenografie che sono abbastanza scarne ma molto più realistiche di quelle sfarzose messe in mostra nelle megaproduzioni di Oltreoceano.
Ma tutto viene compensato dal talento visivo di Garrone che utilizza magnificamente le sue locations e che lavora benissimo con il grande cast internazionale che ha a disposizione.
Ho sentito dire peste e corna di questo film, soprattutto dalla critica nostrana e il pubblico non ha risposto come ci si aspettava.
E allora forse ci meritiamo solo i cinepanettoni...


PERCHE' SI : originale, visivamente magnifico, grande cast internazionale, un nuovo modo di fare fantasy.
PERCHE' NO : arduo trovare difetti: una certa freddezza programmatica, le scenografie in certi frangenti un po' troppo spartane.


LA SEQUENZA : la regina che mangia il cuore del drago, la lotta finale con l'orco.



DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

Forse il pubblico italiano non è ancora pronto.
Il fantasy è genere nobile e Garrone lo rilegge in maniera originale.
E' proprio vero : nemo propheta in patria
Spero che questo film non rappresenti una battuta d'arresto per la carriera di Garrone.


( VOTO : 8 / 10 )


 Tale of Tales (2015) on IMDb

venerdì 2 ottobre 2015

Un disastro di ragazza ( 2015 )

Fin da bambina Amy è stata educata al rifiuto della monogamia dal padre.
Ora lui è in un ospizio a causa di preoccupanti segni di demenza senile e lei lavora come redattrice in una rivista di gossip saltando da un partner occasionale all'altro senza alcun rimpianto.
La paura l'assale quando si trova per lavoro a intervistare l'ortopedico di fiducia di Le Bron James e di altre star del basket e scopre che lui potrebbe essere quello giusto per lei: quello che potrebbe farle dimenticare tutti i discorsi sull'erroneità della monogamia fatti a suo tempo dal padre.
Non sono un grosso fan della comicità di Apatow e dei prodotti della sua factory ma devo ammettere che tra tutta la mole di materiale che il nostro produce a volte ci troviamo di fronte a delle piccole chicche da non perdere come per esempio Le amiche della sposa di Paul Feig.
Non amo il suo cinema perché lo trovo politicamente scorretto solo per facciata,  fintamente trasgressivo e non in grado di dire qualcosa di nuovo nel campo della commedia al di là del suo umorismo pesante da caserma e della sua comicità escrementizia fatta di sangue, fluidi corporei e liquami organici assortiti mescolati a dosi variabili di nudo maschile , preferibilmente full frontal ( vero Jason Siegel?).
Sinceramente non avevo grosse aspettative per questo suo ultimo film che però ha solo diretto e prodotto e non sceneggiato ( caso unico nella carriera di Apatow almeno fino a questo momento).
Ero partito con fiero cipiglio 'per smolecolarizzare questa sua ultima e invece no, mi sono dovuto ricredere.
Il film , scritto da Amy Schumer, commediante di razza che negli USA è diventata un vero e proprio fenomeno mediatico, è una commedia incentrata su una prospettiva femminista un po' come era il frizzantissimo La amiche della sposa.
Magari non arriviamo a quei vertici ma ci si diverte e non ci si annoia troppo nonostante il film superi le due ore di durata ( minutaggio in genere eccessivo per le commedie e forse anche per questa, magari qualche sforbiciata qua e là avrebbe giovato all'agilità della narrazione).
Amy Schumer è decisamente brava : diversamente bella , anzi forse bella non lo è proprio, al massimo è un tipo come direbbe Elio, diversamente comica, diversamente disinibita  e diversamente sboccata .
Insomma un fiorellino di commediante che tiene la scena in modo brillante coadiuvata da comprimari strepitosi: non parlo tanto di Bill Hader o della titanica Tilda Swinton ( ci ho messo un'ora per riconoscerla) ma quanto di John Cena e Le Bron James, sportivi prestati al cinema che si rivelano gli assi nella manica di un film che comunque inanella riflessioni non banali sulla vita di coppia e sul modo di relazionarsi in un mondo in cui se non si è predatori si rischia di essere divorati in meno di un battito di ciglia.
A dir la verità John Cena, tramita la WWE, potentissima federazione di wrestling che anche ramificazioni cinematografiche, ha fatto anche altri film da protagonista : ma erano tutti action incentrati sulla sua forza fisica e sui suoi bicipiti a mappamondo.
Qui è nella parte di un tenero amante ( a proposito di scena tipicamente apatowiana ,vedere quella in cui Cena o meglio una sua precisa parte anatomica venga utilizzata come attaccapanni oppure la strepitosa gag al cinema ) supermacho e criptogay allo stesso tempo in cui dimostra di saperci fare anche con la commedia riuscendo ad assumere le fattezze del classico elefante nella cristalleria e risultando perfetto nella parte.
Anche Le Bron James, nella parte di se stesso disegnato come capriccioso miliardario tirchio da morire,  sembra parecchio a suo agio davanti alla macchina da presa ed è esilarante il non film in
bianco e nero che vede protagonisti Daniel Radcliffe e Marisa Tomei contornati da un nugolo di cani.
Certo Un disastro di ragazza non dice molto di nuovo, è una commedia dagli stilemi consolidati e che ha per protagonista una donna che si comporta esattamente come farebbe un uomo che definiremmo un tombeur des femmes, ha un finale che si immette nell'alveo della classica commedia sentimentale senza troppi guizzi e forse è un po' troppo lungo.
Ma osserva la realtà con un certo grado di intelligenza ed ha delle scene assolutamente strepitose.
E poi Amy Schumer è veramente una forza della natura .
Grosso successo al botteghino.


PERCHE' SI : più intelligenza della media, commedia femminista, Amy Schumer è una bellissima scoperta, John Cena e Le Bron James sono strepitosi.
PERCHE' NO : a volte si cade nel peccato originale apatowiano ( comicità escrementizia fine a se stessa), finale senza troppi guizzi , durata eccessiva.


LA SEQUENZA : John Cena, o meglio il suo ammenicolo, usato come attaccapanni, la gag al cinema.


DA QUESTO FILM HO CAPITO CHE :

Apatow scopre sempre nuovi talenti.
Amy Schumer è una bellissima scoperta.
E' bello vedere un film con aspettative basse ed accorgersi che è molto meglio di quanto preventivato.
Chi avrebbe scommesso su un John Cena così esilarante?


( VOTO : 6,5 / 10 ) 


Trainwreck (2015) on IMDb